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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2014 alle ore 09:36.
L'ultima modifica è del 14 marzo 2014 alle ore 16:33.

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Sono le ultime 48 ore di diplomazia lungo l'asse New York, Londra, Berlino, Mosca, Pechino in quella che è da molti definita la più grave crisi in Europa dalla fine della Guerra Fredda. Domenica la Crimea vota l'annessione alla Russia, la comunità internazionale ripete che il referendum è «illegittimo», non rispetta il Memorandum di Budapest del 1954, il G-7 ha dichiarato in un comunicato diffuso dalla Casa Bianca che non ne riconoscerà i risultati. Il problema adesso non è il destino della Crimea ma le ripercussioni che il voto può avere nel Paese, sprattutto nelle regioni orientali dove si agitano le comunità russofone, i militanti russofili e al cui confine Putin fa esercitazioni militari.

Nonostante gli avvertimenti ora chiari anche dal governo di Berlino, Putin rimane ambiguo e non rinuncia a segnali aggressivi. La Russia lancia infatti nuove esercitazioni militari ai confini con l'Ucraina, nonostante le minacce di Londra e Washington, a due giorni dal referendum. E nonostante il pressing di John Kerry sul collega Serghei Lavrov oggi a Londra, il governo russo non molla: si riserva il diritto di proteggere i suoi "compatrioti" in Ucraina, dove le autorità, seocndo il Cremlino, non controllano la situazione. Lo dichiara proprio Lavrov dopo gli scontri di ieri a Donetsk, nell'est dell'Ucraina, tra dimostranti filorussi e pro-Kiev, che hanno causato la morte di una persona. «Le autorità di Kiev non controllano la situazione nel Paese. La Russia è consapevole delle sua responsabilità per la vita dei suoi concittadini e compatrioti in Ucraina e si riserva il diritto di proteggerli» si legge in un comunicato del ministero. Il comunicato cita i «tragici eventi» di ieri a Donetsk, dove «gruppi di estrema destra arrivati in città da altre parti del paese» «hanno attaccato manifestanti pacifici, scesi in piazza per mostrare il loro atteggiamento nei confronti delle posizioni distruttive di coloro che si definiscono autorità ucraine».

Nei giorni precedenti il governo di Kiev aveva già l'anciato l'allarme nell'Est del Paese dove oggi l'opposizione filorussa ucraina, rappresentata dal Partito delle regioni, chiede di accordare una maggiore autonomia alle regioni orientali del paese e di fare del russo la seconda lingua ufficiale. Una richiesta che viene mentre Kiev è impegnata a sventare le spinte centrifughe delle regioni abitate in maggioranza da russofoni, a partire dalla Crimea che è finita di fatto sotto il controllo di Mosca. "Bisogna votare d'urgenza le leggi che assegnano alle regioni degli ampi poteri e accordare al russo lo status di seconda lingua di stato", ha dichiarato in un comunicato la formazione politica dalle cui fila proviene il deposto presidente Viktor Yanukovich. Dopo la caduta di Yanukovich, il partito ha preso le distanze dal suo vecchio leader, ma si è messo all'opposizione rispetto ai nuovi leader che hanno preso il potere e che non sono riconosciute da Mosca.

È però significativo la posizione all'Onu della Cina che si allontana dalla Russia. L'ambasciatore di Pechino all'Onu, Liu Jieyi, ha affermato in Consiglio di Sicurezza «la necessità di rispettare l'integrità territoriale dell'ex repubblica sovietica» e si è detto «aperto a tutte le proposte che siano in grado di ridurre la tensione». Secondo i diplomatici, la Cina potrebbe decidere di astenersi in caso di voto della bozza di risoluzione americana, lasciando la Russia isolata all'interno dei Quindici. Intanto la Borsa di Mosca registra un nuovo crollo: a inizio amttinata l'indice Micex cede a metà seduta il 5% sulla scia della crisi in Crimea.

Per monitorare il referendum di domenica sull'annessione della Crimea alla Russia o sulla sua permanenza in Ucraina (quesiti in tre lingue, russo, ucraino e tataro) sono stati registrati sinora una cinquantina di osservatori di 21 Paesi, tra cui Usa, Israele ed alcuni Paesi dell'Europa occidentale ed orientale: lo ha riferito Mikhail Maleshev, capo commissione per lo svolgimento del referendum, come scrive oggi il quotidiano Vedomosti. Non ci saranno però né gli osservatori dell'Osce né quelli della Csi - la comunità di Stati indipendenti nata dalle ceneri dell'Urss, esclusi i baltici e la Georgia - che generalmente promuovono le elezioni bocciate dagli osservatori occidentali nell'ex spazio sovietico. «Non siamo stati invitati»ha riferito un funzionario dell'apparato del comitato esecutivo della Csi. Sono invece stati invitati osservatori di alcuni singoli Paesi della Csi. Una mossa che, secondo alcuni osservatori, sembra riflettere il fatto che la Csi è spaccata sul referendum della Crimea e sulla politica interventista (anche militarmente) di Putin.

Il Kazakhstan e il Kirghizistan si sono già pronunciati per una soluzione pacifica e per il rispetto della integrità territoriale dell'Ucraina. In compenso in Crimea voleranno 20 deputati e 8 senatori russi, che tuttavia non basteranno certo a dare una legittimità internazionale ad una consultazione referendaria convocata in fretta e furia senza neppure i tempi di una campagna elettorale.

La via militare, ultima spiaggia
Gli Stati Uniti preparano però anche piani B: stanno "studiando" una richiesta dei dirigenti ucraini a Washington affinché assicurino loro armi e sostegno militare. Lo affermano i responsabili dell'amministrazione Obama all'Afp, mentre altre fonti danno per respinto l' appello di Kiev. Secondo le fonti dell'Afp, l'Ucraina avrebbe chiesto non solo armi e munizioni, ma anche un sostegno in materia di intelligence. «Esaminiamo le richieste formulate», ha dichiarato all' Afp un responsabile del Pentagono sotto anonimato. Secondo altri due responsabili, non sarebbe ancora stata presa alcuna decisione definitiva. La richiesta dell'Ucraina giunge durante la visita del premier Arseni Iatseniouk negli Stati Uniti, dove ha ricevuto il sostegno dell'amministrazione Obama nella crisi che la oppone alla Russia, e che ha condotto al dispiegamento di diverse migliaia di soldati russi nella penisola ucraina di Crimea. Washington ha scartato qualunque intervento militare nella ex Repubblica sovietica e sta tentando invece di risolvere la crisi per via diplomatica. Secondo il Wall Street Journal, gli Stati Uniti avrebbero invece rifiutato la domanda ucraina nel timore di inasprire la situazione nel Paese. Citando dei responsabili, il quotidiano spiega che Kiev avrebbe sottoposto a Washington una lista dettagliata, che comprende fra l'altro materiale per le comunicazioni, kerosene e occhiali per la visione notturna

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