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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2014 alle ore 16:23.
L'ultima modifica è del 17 marzo 2014 alle ore 17:02.

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Il premier Matteo Renzi e Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, hanno confermato che l'acquisizione da parte italiana dei cacciabombardieri F-35, il programma militare più costoso e discusso della storia, è il principale candidato a subire riduzioni per consentire alla Difesa risparmi di un miliardo all'anno per almeno tre anni.

Il velivolo statunitense non è l'unico programma che potrebbe subire tagli o rallentamenti sufficienti a spalmare la spesa per l'acquisto su un numero maggiore di anni e di bilanci. Per far quadrare i conti a Palazzo Baracchini contano anche sulla cessione di quasi 400 caserme e basi militari. Considerando però le difficoltà già registrate in passato a cedere in modo redditizio le caserme e i benefici solo a lungo termine della già programmata riduzione degli organici militari dagli attuali 180 mila ai 150 mila effettivi previsti nel 2024, pare evidente che i risparmi immediati potranno giungere solo dalla riduzione, cancellazione o proroga dei programmi d'acquisizione.

"Ripensare, ridurre, rivedere: sono le tre R che applicheremo a tutte le spese", ha spiegato Roberta Pinotti che ha annunciato la messa a punto di un Libro Bianco, un documento programmatico che la Difesa italiana non ha di fatto mai avuto, che metta in luce cosa viene richiesto alle Forze Armate e quali strumenti (e finanziamenti) siano necessari. Il dimezzamento dei 90 F-35 in programma (già ridotti dai 131 previsti dal governo Monti) era stato auspicato l'anno scorso dallo stesso Renzi e in febbraio è stato caldeggiato da un documento messo a punto dai deputati del PD della Commissione Difesa in cui viene proposto di risparmiare un miliardo all'anno riducendo la commessa per il jet di Lockheed Martin e completando invece i previsti 121 esemplari di Eurofighter Typhoon, cacciabombardieri europei (di cui anche l'industria italiana è progettatrice, produttrice ed esportatrice) la cui commessa è stata tagliata a 96 esemplari proprio per "fare posto" agli F-35.

I motivi per ridurre o cancellare il programma F-35 non riguardano solo il suo costo (14,3 miliardi previsti di cui 3 già spesi) ma un insieme di valutazioni legate ai vantaggi industriali e agli interessi nazionali. Il costo reale dei velivoli non è in realtà valutabile oggi perché l'F-35 non è stato ancora completamente sviluppato e soprattutto la versione B presenta notevoli problemi. Ogni ritardo e ogni problema tecnico che emerge significa molti milioni di costi aggiuntivi che ricadono sugli acquirenti. I ritorni industriali per l'Italia non sono garantiti e subiscono ovviamente riduzioni proporzionali ai tagli apportati. Roma ha speso oltre 800 milioni di euro per costruire uno stabilimento a Cameri (Faco) dove vengono assemblati gli aerei italiani e olandesi e prodotte le ali. Il taglio apportato dall'Aja alla sua commessa (37 aerei invece di 85) condanna già quello stabilimento a lavorare in perdita e in ogni caso le produzioni assegnate ad aziende italiane sono a bassa tecnologia e ancor minore redditività mentre i 10 mila posti di lavoro legati al programma in Italia di cui si favoleggiava solo 18 mesi or sono hanno subito un forte ridimensionamento.

Dati più ottimistici emergono invece dal rapporto redatto recentemente da Price Waterhouse Coopers (PwC) sull'impatto economico del programma F-35 in Italia. Un documento commissionato da Lockheed Martin che stima in ben 15,756 miliardi di dollari il beneficio economico per l'Italia nel periodo dal 2007 al 2035 (in media 543 milioni di dollari all'anno) e un'occupazione potenziale di 5.450 posti di lavoro dal 2017 al 2026.

L'F-35 rischia in ogni caso di rappresentare un suicidio strategico perché porterebbe l'industria italiana del settore Aeronautica e Difesa a dipendere in futuro dalle commesse statunitensi per sub forniture a basso tasso di hi-tech mentre le nostre forze armate dipenderebbero dagli Stati Uniti per la gestione e l'impiego dei velivoli sui quali di fatto non avremmo sovranità né l'accesso a molte delle tecnologie impiegate. Invece di spendere oltre Atlantico le magre risorse finanziarie disponibili meglio sarebbe investirle in prodotti e aziende italiane che lavorano in consorzi europei, come nel caso dell'Eurofighter Typhoon, velivolo che partecipa alle gare internazionali in concorrenza conni velivoli americani incluso l'F-35.

Dopo tanto parlare di "difesa europea" che senso ha affidarsi per i prossimi decenni a un aereo made in Usa? Inoltre se anche l'F-35 risolvesse i suoi molti problemi tecnici, diventasse il miglior aereo da guerra della storia e risultasse realmente invisibile ai radar di ultima generazione, l'Italia non potrebbe permetterselo specie ora che i tagli al bilancio hanno colpito in particolare le spese di addestramento e gestione (Esercizio). Con gli attuali stanziamenti non possiamo permetterci un'Aeronautica dotata di due tipi di velivoli da combattimento, Typhoon ed F-35, entrambi a elevati costi di gestione e ognuno con armamenti ed equipaggiamenti diversi.

Basti pensare che Paesi che spendono più del doppio per la Difesa come Germania e Francia (rispettivamente 33 e 32 miliardi di euro contro i 14 dell'Italia) entro pochi anni disporranno di forze da combattimento su un solo aereo (160 Typhoon i tedeschi, 200 Rafale i francesi) riducendo così i costi logistici. Il taglio che il governo Renzi potrebbe apportare al programma riducendo a 45 gli F-35 rappresenterebbe quindi un compromesso che garantirebbe risparmi e salvaguarderebbe la cooperazione con Washington consentendo comunque all'Aeronautica di equipaggiare due Gruppi di cacciabombardieri e alla Marina di disporre di 15 velivoli a decollo corto e atterraggio verticale della versione F-35B da imbarcare sulla portaerei Cavour. Questi ultimi costituiscono gli unici F-35 veramente indispensabili per l'Italia dal momento che non esistono altri aerei con simili caratteristiche per sostituire i vecchi Harrier.

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