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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2014 alle ore 12:26.
L'ultima modifica è del 20 marzo 2014 alle ore 13:30.

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Il presidente della Commissione Ue, José Barroso, l'aveva promesso a gennaio, nel corso di un' intervista concessa a questo giornale a margine del vertice di Davos, e alla fine c'è riuscito. Il Parlamento europeo e gli stati dell'Ue sono giunti a un accordo sul secondo pilastro dell'unione bancaria al termine di una notte di negoziati: lo ha annunciato il Ppe in un comunicato.

Questo accordo politico politico riguarda un meccanismo per evitare che il fallimento delle banche in crisi della zona euro pesi sull'economia reale e mira ad aumentare gli oneri finanziari sul settore bancario e non sui contribuenti.
E' stato quindi superato uno degli ultimi scogli per l'Unione bancaria: il Consiglio e il Parlamento Ue hanno raggiunto un'intesa sul secondo pilastro, il meccanismo di risoluzione e il fondo salva-banche. Ora l'ultima plenaria di aprile del Parlamento può votare, salvo sorprese in aula, il via libera definitivo.

L'unione bancaria è destinata a ripristinare la fiducia delle banche nei prestiti tra di loro .
Si è anche voluto rompere il circolo vizioso tra gli stati indebitati e le banche che avevano comprato il loro debito.

I dettagli del compromesso, che deve ancora ottenere il via libera da tutto il Parlamento europeo e dall'Ecofin,prevedono un fondo di 55 miliardi di euro costituito da contributi delle banche che verrà costituito nell'arco di otto anni, anziché 10 come originariamente previsto. Inoltre il 40% del fondo sarà condiviso tra i paesi sin dall'inizio fino a raggiungere il 70% dopo tre anni. C'è dunque una accelerazione della mutuazlizzazione dei rischi. Non è però previsto il backstop, il paracadute finanziario di cui si era parlato in un primo momento per supplire alle necessità e imprevisti, chiamando in causa anche il fondo salva-Stati Esm.
C'è quindi come dicevamo una maggiore mutualizzazione dei fondi fin dall'inizio rispetto alla prima versione e un «ruolo primario» riconosciuto alla Bce di Mario Draghi nel decidere la chiusura di una banca dell'eurozona in difficoltà, decisione che prima veniva riconosciuta a un compromesso da trovare tra Consiglio, Commissione e Bce.

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