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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2014 alle ore 06:42.

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La Commissione europea lo va predicando da anni, ma forse mai come in questo momento se n'era sentita così forte l'urgenza: bisogna ridurre la dipendenza dal gas russo. Dalle indiscrezioni filtrate alla vigilia del Consiglio europeo si sa che l'imperativo verrà rilanciato con decisione. Gli esperti, tuttavia, sono ben consapevoli che l'emancipazione, sia pure parziale, da Gazprom è un traguardo lontano, raggiungibile nella migliore delle ipotesi intorno al 2020.
Oggi l'Europa non può permettersi di fare a meno del gas russo, se non per periodi molto limitati: benché i consumi della Ue-28 siano calati nel 2013 per il terzo anno consecutivo (-1,4% a 492 miliardi di metri cubi), Mosca è rimasta il primo fornitore straniero e soddisfa tuttora il 27% del fabbisogno, contro il 23% della Norvegia, l'8% dell'Algeria e il 4% del Qatar. Ecco dunque le possibili linee di azione in caso di emergenza immediata e per rafforzare la sicurezza energetica nel futuro.
1. Soluzioni d'emergenza
Purché di breve durata, un'interruzione dei transiti di gas dall'Ucraina oggi ci vedrebbe più preparati rispetto alle crisi del 2006 e del 2009. I nostri consumi sono minori e stavolta l'emergenza si verificherebbe in primavera e dopo un inverno molto mite, che ha mantenuto alti gli stoccaggi: il Gie (Gas Infrastructure Europe) riferisce che al 10 marzo erano pieni per il 47%, con 37 miliardi di mc di gas. In secondo luogo, sono migliorate le infrastrutture di trasporto: c'è ad esempio il gasdotto Nord Stream, costruito proprio dai russi, che dal 2011 consente di inviare gas in Germania aggirando l'Ucraina, ed è stata potenziata la capacità di invertire i flussi in molte pipeline per trasferire il gas da un Paese europeo all'altro (il cosiddetto reverse flow). Norvegia e Algeria potrebbero inoltre rafforzare le forniture, anche se Oslo ha già avvertito che sarebbe in grado di farlo solo per pochi giorni. Infine, si potrebbe aumentare l'acquisto di Gas naturale liquefatto (Gnl) sul mercato spot: i rigassificatori europei sono inutilizzati per tre quarti della capacità, secondo l'Agenzia internazionale per l'energia. Ma bisognerebbe essere disposti a competere coi giapponesi, che per il Gnl pagano il 40% in più.
2. Lo shale gas americano
Molti ripongono grandi speranze sulle forniture in arrivo dagli Stati Uniti, dopo l'enorme sviluppo della produzione non convenzionale. Grazie allo shale gas Washington comincerà davvero a esportare Gnl, ma non prima del 2015-2016, quando sarà avviato il primo impianto di liquefazione, e in quantità comunque limitate: nel timore che uno sviluppo eccessivo dell'export faccia salire i prezzi sul mercato interno, le autorità Usa stanno centellinando le autorizzazioni e finora solo 6 società hanno avuto via libera a vendere anche in Europa e Asia, per un totale di 98,2 miliardi di mc di gas l'anno (in gran parte già prenotati da clienti giapponesi). Nell'ambito del trattato di libero scambio con gli Usa, Bruxelles sta spingendo per l'inclusione di clausole che consentano di vendere gas americano in Europa senza permessi ad hoc, ma Washington sembra restia. Non bisogna però dimenticare che anche Australia e Qatar potenzieranno la produzione di Gnl a fine decennio. Senza vincoli all'export.

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