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I mercati hanno già scelto Modi

Raghuram Rajan (Afp)Raghuram Rajan (Afp)

Gli indiani andranno alle urne tra meno di due settimane, ma i mercati stanno già votando, con la rupia ai massimi da otto mesi e 3,6 miliardi di dollari pompati nel Paese solo a marzo, 8,4 da inizio anno. Certo, se potessero, banche d'affari e fondi voterebbero Raghuram Rajan: da quando ha preso il timone della Banca centrale, la moneta - che tra il 2010 e la fine del 2013 aveva perso circa il 28% sul dollaro - è tornata sotto controllo, l'inflazione ha cominciato a dare segnali di moderazione e i capitali hanno smesso di andarsene.

Rajan, però, non è tra i candidati. Pertanto, i mercati scommettono su Narendra Modi e soprattutto su quello che si aspettano da una vittoria del controverso leader del Partito nazionalista indù, il Bharatiya Janata Party (Bjp), lo storico rivale del Partito del Congresso della dinastia Nehru-Gandhi. Vale a dire, politiche fortemente orientate allo sviluppo e d'impronta liberista, la ricetta che ha fatto il successo economico del Gujarat, lo Stato che Modi amministra da 12 anni e che continua a crescere più del Paese: nei sei anni fino al 2012, il suo Pil è salito a tassi medi superiori al 10% e nel 2013 l'espansione è stata dell'8%, contro il 4,9% dell'India.

Modi (63 anni) ha impostato la sua campagna elettorale facendo leva sulla sua immagine di politico pro-impresa e pro-mercato, promettendo 250 milioni di posti di lavoro in dieci anni, 100 nuove smart city, investimenti infrastrutturali, semplificazione normativa, taglio della burocrazia e sviluppo del commercio come cuore della politica estera del Paese. Non a caso e non da ora, ha l'appoggio dell'establishment economico del Paese, a cominciare dal miliardario Mukesh Ambani e dall'ex presidente di Tata, Ratan Tata. Al leader del Bjp chiedono di fare in India quello che ha fatto nel Gujarat: strade decenti, elettricità 24 ore al giorno sette giorni su sette, quando gran parte del Paese soffre interruzioni continue che costringono fabbriche e imprese a dotarsi di costosi generatori per non dover interrompere la produzione. E poi acqua e regole semplici per investire. I suoi critici, tra cui il nobel per l'economia Amartya Sen, lo accusano di intolleranza verso le altre religioni e gli rimproverano lo sviluppo diseguale del Gujarat, che ha lasciato indietro ampie sacche di popolazione (il 21% è ancora analfabeta).

Il Bjp è in continua ascesa, i sondaggi gli accreditano tra i 200 e i 230 seggi sui 543 della Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento, a poche decine di deputati da una maggioranza che potrà comunque conquistare alleandosi con uno dei tanti e sempre più influenti partiti regionali. Per porsi come leader di una coalizione in grado di governare, gli basterà infatti raggiungere il numero magico di 200 eletti.

Nel complesso processo elettorale indiano, i risultati arriveranno solo il 16 maggio, tre settimane dopo l'avvio delle votazioni. I mercati però si aspettano che dalle urne esca soprattutto l'avvio di un nuovo ciclo di espansione, come scrive un report di Credit Suisse. Se però il voto non dovesse consegnare una maggioranza stabile, sono pronti fin da ora a scaricare di nuovo la rupia e l'India. «I fondamentali economici stanno migliorando e il mercato ha la percezione che una vittoria del Bjp potrebbe essere buona per gli investimenti», afferma ancora Hamish Pepper, di Barclays. Il miglioramento dei fondamentali, in realtà, è timido ed è il risultato delle ricette del governo in carica, convinto di poter centrare l'obiettivo fissato di taglio del deficit delle partite correnti da 88 a 40 miliardi di dollari (4,6% del Pil). Quest'anno, inoltre, la crescita del Pil si fermerà sotto il 5%, ma in ripresa rispetto al 4,6% del 2013, quando toccò il minimo da dieci anni. Per assorbire i 10-12 milioni di indiani che ogni anno bussano alle porte del mercato del lavoro, serve però uno sviluppo del 6,5 per cento.

Travolto da una serie di scandali di corruzione, il Congresso corre così verso quella che potrebbe rivelarsi la peggior sconfitta della sua storia. I meno rassegnati ricordano che anche nel 2009 il Congresso sembrava spacciato, ma poi la leader del partito, Sonia Gandhi, riuscì in una rimonta che consentì a Manmoahn Singh di restare in sella al governo. Quest'anno, però, rovesciare il verdetto anticipato dai sondaggi, che gli accreditano meno di 100 seggi (dai 206 attuali) sembra davvero improbabile.
Al centro di una difficile transizione della leadership, il Congresso ha affidato la campagna elettorale al figlio di Sonia, Raul Gandhi (43 anni), e ha ripetuto le consuete promesse di potenziare il programma alimentare a favore delle aree rurali di un Paese che vede ancora un terzo della popolazione vivere con meno di 1,2 dollari al giorno (secondo la Banca mondiale) e dove il rincaro del prezzo delle cipolle, un'ingrediente base in una dieta poverissima, può innescare rivolte popolari. Fornire cibo a prezzi abbordabili a 800 milioni di persone costa già al governo di New Delhi 21 miliardi di dollari l'anno.
Anche Modi dovrà farsi carico di questo e degli altri problemi sui quali si sono arenati gli sforzi di modernizzazione del Congresso. Gran parte delle riforme strutturali che il governo centrale progetta - strade, reti elettriche e idriche - devono poi passare per l'ok degli Stati, dove troppo spesso si incagliano. Sono i nodi strutturali mai risolti che impediscono all'India di smettere di essere una promessa e di diventare una grande economia all'altezza del proprio potenziale.

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