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Da Federazione ad azienda, la rivoluzione ovale di Gavazzi

Diventare ancora più ricca. Alla Federazione italiana rugby i 42 milioni di euro di bilancio che la rendono la seconda federazione sportiva italiana più ricca dopo quella del calcio non bastano più. L'obiettivo delineato a Milano dal presidente della Fir, Alfredo Gavazzi, è di raggiungere almeno i 48 milioni di euro del bilancio della Union scozzese, che precede l'Italia nella classifica economica del Sei Nazioni ed è la realtà più vicina a quella Azzurra. «L'Inghilterra ha 190 milioni, la Francia 107 milioni, l'Irlanda è a 78 milioni, il Galles a 73 milioni e la Scozia a 48 milioni», ha snocciolato Gavazzi, sostenendo che, per colmare il gap con la Scozia, «dobbiamo recuperare dal settore commerciale», con il progetto di «trasformare la Fir in una azienda, con un presidente, un amministratore delegato e un direttore generale».

Per farlo, ha continuato, «abbiamo fatto un organigramma interno e ci siamo strutturati in cinque divisioni: amministrazione, segreteria, eventi, tecnica, comunicazione e marketing». E a detta del presidente, anche la nuova sede a Roma da 6mila metri quadrati potrà servire per accompagnare il cambiamento. Intanto, una prima tappa del percorso economico della Fir è legato alla Celtic Leauge (Pro12). «Dal primo luglio saremo soci paritari e non più ospiti», ha detto Gavazzi, esprimendo comunque qualche dubbio in proposito: «Paritari, almeno sulla carta, perché sappiamo come sono i britannici».

La Federazione italiana «garantisce 3 milioni di diritti tv e riceverà 3 milioni di dividendi», a questo va aggiunto però che «per i prossimi quattro anni abbiamo una tassa da 1,25 milioni di euro, per un totale di 5 milioni», tuttavia, «abbiamo chiesto all'Irb 3 milioni di euro, quindi al massimo pagheremo 2 milioni». Dal punto di vista sportivo, al torneo parteciperanno Benetton Treviso e Zebre, su cui la Fir «investe 4 milioni di euro ciascuna, contro i 10 milioni di euro di prima» e anche se «non vogliamo entrare nella gestione delle franchigie, il loro gioco deve rispettare i principi di gioco della Nazionale» e per questo motivo «i due vice di Jacques Brunel, De Carli (avanti) e Berot (tre quarti) faranno da trait d'union». Inoltre, ha indicato ancora Gavazzi, «le franchigie dovranno essere una palestra per allenatori, dirigenti e giocatori», non escludendo che «i team manager delle due squadre potrebbero diventare poi team manager della Nazionale».

Restando in tema Zebre, «che ora sono a Parma», il presidente ha ipotizzato «un futuro a Milano», e di questo ha già parlato con «le amministrazioni locali e dopo l'Expo 2015 nell'area potrebbe sorgere uno stadio da 6-7mila posti». Il presidente federale non abbandona l'idea di una terza franchigia: «Dobbiamo arrivare a una terza squadra, a Roma, e ho già incontrato il sindaco. Abbiamo, insieme alla Scozia, già fatto richiesta al board del Pro 12 per una terza squadra, ma si parla di medio termine», ha precisato. Per il futuro, quindi, Gavazzi vede tre franchigie italiane in Celtic, una del Nord Est in Veneto, una del Nord Ovest a Milano e una del Centro, a Roma. Più nebulosa la questione Coppe europee. «Ci sarà una nuova Heineken Cup a 20 squadre, una Challenge a 20 squadre (con un solo posto garantito per le italiane in entrambe le competizioni, ndr) e un torneo di qualificazione con squadre rumene, portoghesi, georgiane e, abbiamo chiesto, quattro italiane. Non so se club o selezioni, vedremo», ha continuato, dicendosi sicuro di una cosa: «Io non firmerò alcun accordo se il lato economico italiano non sarà uguale a quello scozzese».

Nel frattempo, guardando al Sei Nazioni appena terminato, il presidente federale cerca di rintracciare le cause dei risultati negativi. «A questa Nazionale manca la capacità di gestione, Tommaso Allan non calcia a Perpignan e forse sarebbe stato meglio se fosse venuto a giocare in Italia», ha iniziato a elencare, sostenendo che «il 9 e il 10 (mediano di mischia e di apertura) si sono trovati in difficoltà per esperienza e capacità di gestione» e a loro è mancato anche il sostegno del capitano: «Parisse ha tanto entusiasmo e voglia di giocare ma a volte si fa prendere dalla foga e non riflette», tanto che potrebbe rischiare il posto: «Brunel sulla leadership ha già le idee chiare in vista del tour estivo». Come se questo non fosse sufficiente, ha detto ancora Gavazzi, «il comunicato della Benetton il giorno di Francia-Italia sulla partecipazione in Pro12 non ha aiutato e tanti giovani in squadra hanno avuto incertezze in difesa». Non ultimo: «Dopo il Sei Nazioni 2013 ci siamo illusi di essere più forti. Invece dobbiamo restare sotto pressione». La tenuta mentale quindi ha scricchiolato non poco, forse più di quanto è stato detto alla fine del torneo dai protagonisti. Perché la Nazionale possa diventare competitiva, per il presidente, bisogna partire dalla base e dall'Under20. «Per vincere davanti, bisogna vincere dietro», per questo Gavazzi ha un progetto «di 8-10 anni per rendere l'Under20 italiana competitiva». «L'obiettivo è di avere dieci accademie Under18 l'anno prossimo, entro due anni iscrivere due accademie Under19 in Serie A e, entro tre anni, l'accademia Under20 in Eccellenza», ha sottolineato, aggiungendo che alla base si creerà un sistema piramidale con 1000 giocatori di Under16 nei centri di formazione federale, 300 di Under18, 70 di Under19 e i 35 dell'accademia Under20. Per vedere i risultati, però, si dovrà aspettare: «Non faccio miracoli», ha tenuto a precisare Gavazzi.

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