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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2014 alle ore 13:49.
L'ultima modifica è del 27 marzo 2014 alle ore 18:34.

Il presidente sorridente, il Papa più serio. Il summit in Vaticano ha anche questo fermo immagine, ma per Bergoglio questa è la normalità, visto che non sono le occasioni istituzionali gli eventi che preferisce. In ogni caso l'incontro tra i due leader più popolari della terra deve aver avuto dei contenuti decisamente molto forti, vista la durata ben superiore alle aspettative e le tabelle del protocollo. «É un onore essere qui, sono un suo grande ammiratore», ha detto Obama a Papa Francesco dopo una lunga stretta di mano.

A differenza del 2009 non c'era la famiglia del presidente, e questo ha contribuito di certo a mantenere l'incontro su binari istituzionali. Al centro dei colloqui l'immigrazione, le sperequazioni, la difesa delle minoranze cristiane, ma anche la crisi Russia-Usa sulla Crimea, la Siria, la Cina e il Medio Oriente, dove proprio oggi il Pontefice è confermato che si recherà a maggio. E, con ogni probabilità, anche le questioni di politica interna americana, in particolare i riflessi della riforma sanitaria sulle interruzioni di gravidanza, capitolo molto avversato dai vescovi Usa. Obama sa che su questo punto non può forzare la mano in un anno elettorale, specie alla luce dell'enorme popolarità di Bergoglio sull'elettorato ispanico cattolico.

Sul tavolo anche l'invito alla Casa Bianca il prossimo anno («Perché no?», ha risposto in spagnolo il Papa), quando è probabile che il Papa vada in Usa per la giornata delle famiglie a Philadelphia. Poi la battuta di Obama fatta donando al Pontefice dei semi provenienti dai giardini della Casa Bianca: «Se verrà alla Casa Bianca avrà la possibilità di visitare il giardino» ha detto al Papa.

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