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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2014 alle ore 13:04.
L'ultima modifica è del 31 marzo 2014 alle ore 18:26.

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TOKYO – Clamorosa sconfitta per il programma di caccia alle balene nei mari del Sud promosso dal Governo giapponese. La Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja ha statuito che questo programma è da considerarsi illegale in quanto non viene condotto per «scopi scientifici» – come ufficialmente giustificato da Tokyo – ma con altri obiettivi. Il caso era stato promosso nel 2010 dal Governo australiano, che assieme a quello neozelandese è da anni ai ferri corti con Tokyo sulla caccia alle balene e ritiene che il programma nipponico abbia scopi commerciali sotto una presunta copertura scientifica.

Alla luce del fatto che il programma Jarpa II è in corso dal 2005 e ha comportato l'uccisione di circa 3.600 balene a oggi, «le risultanze scientifiche appaiono limitate», ha dichiarato il presidente del collegio giudicante Peter Tomka (slovacco). Contro la decisione non è previsto un ricorso, per cui ora il Giappone dovrà con tutta probabilità adeguarsi revocando i relativi permessi.

Canberra ha dichiarato che dal 1988 il Giappone ha ucciso più di 10mila balene, in violazione di convenzioni internazionali di moratoria e dell'obbligo di preservare l'ambiente marino.

Tokyo in realtà ammette che la carne di balena finisce in commercio e ne difende a spada tratta la caccia sostenendo che si tratta di una tradizione culinaria nazionale. Se è vero che nel primo dopoguerra ci fu una impennata di consumi (per la carenza generale di cibo), di recente la carne di balena non è apprezzata dalla generalità dei giapponesi. Negli ultimi anni i militanti dell'organizzazione ambientalista Sea Shepherd hanno ostacolato in vari modi l'attività delle baleniere giapponesi nel Pacifico meridionale, ottenendo successi nel limitare le uccisioni.

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