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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2014 alle ore 16:27.
L'ultima modifica è del 03 aprile 2014 alle ore 19:17.

Il nuovo Senato fa fibrillare il Pd. Nel partito si delinea una frattura netta sul Senato al Senato. Non è un giro di parole. È che la spaccatura sta emergendo in tutta la sua evidenza sulla riforma di Palazzo Madama fra i senatori dem. Oggi ad esempio, i renziani hanno preso malissimo la presentazione del Ddl costituzionale alternativo presentato da Vannino Chiti e firmato da altri 20 senatori della minoranza (sui 107 totali del gruppo Pd).

L'invettiva dei renziani
Non è passata un'ora dalla conclusione della conferenza stampa con la quale Chiti ha presentato il suo modello alternativo di Senato che il capofila dei renziani al Senato Andrea Marcucci dichiara parole di fuoco: «La disponibilità al confronto parlamentare del governo sulla riforma costituzionale è massima. Non c'è alcuno spazio invece per tornare indietro sulla non eleggibilità diretta del Senato. Chi continua a proporla va
contro l'esecutivo e le indicazioni del partito». D'altronde era stato lo stesso premier-segretario a dettare la linea lunedì, il giorno del Consiglio dei ministri che ha varato la riforma: «I contrari saranno minoranza nel partito e nel Paese». Qualche timore tuttavia il premier lo avrebbe rivelato nelle segrete stanze. E a più di un collaboratore avrebbe espresso il dubbio di una possibile saldatura tra la minoranza dem, soprattutto dei civatiani, e i foriusciti del M5S.

La sfida della minoranza
Timori fondati se è vero che il Ddl Chiti con la proposta di un Senato a elezione diretta (una delle condizioni ritenute inaccettabili da Renzi) appena presentato, ha già ottenuto la firma di due esponenti dell'opposizione. Che a questo punto sarà interessante sapere a quale gruppo appartengono. I boatos di Palazzo Madama dicono, inoltre, che anche tra i senatori berlusconiani l'elezione diretta abbia fatto molti proseliti. In ogni caso i senatori della minoranza che hanno firmato il testo Chiti non hanno avuto parole tenere per il premier: «Ogni parlamentare deve lealtà al partito che lo ha fatto eleggere ma anche alla propria coscienza» esordisce lo stesso Chiti. E Massimo Mucchetti lo segue a ruota: «Non abbiamo davanti a noi il Verbo e gli infedeli. E siamo senza vincolo di mandato, fino a prova contraria». E se Renzi, forte della decisione della direzione Pd che ha approvato il testo, dicesse no a questa iniziativa? «È il Parlamento che deve dirci no - è la sfida del civatiano Corradino Mineo -. Non credo proprio che Renzi metterà la fiducia su un Ddl costituzionale. Fortunatamente siamo ancora senza vincolo di mandato». Insomma l'assemblea del gruppo fissata per martedì prossimo non si preannuncia delle più tranquille. E poi, se il Ddl Chiti coagulasse un numero importante di firme? Un dubbio che comincia a pesare ai piani alti di Palazzo Chigi.

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