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Il Narendra Modi favorito, candidato di Corporate India

Narendra ModiNarendra Modi

Come cinque anni fa è il candidato della Corporate India ed è il favorito nei sondaggi. Come cinque anni fa promette investimenti, sviluppo e occupazione. A fare la differenza è l'avversario, che si presenta ai blocchi di partenza più debole che mai. Narendra Modi, il controverso leader del partito nazionalista indù, il Bharatiya Janata Party (Bjp), sente di avere in pugno la maratona elettorale in nove tappe che si apre lunedì e termina il 12 maggio: ci vorranno 35 giorni perché gli 814 milioni di aventi diritto - quasi la popolazione dell'Unione europea e degli Stati Uniti messi assieme - possano esprimere il proprio voto. I risultati arriveranno il 16 maggio. Solo allora si saprà se stavolta Modi (63 anni) ce l'avrà fatta davvero.

Figlio di un ambulante che da bambino accompagnava a vendere the sui treni, il leader del Bjp è al governo del Gujarat dal 2001 e proprio sulla parabola di questo Stato, che ospita la popolazione dell'Italia su una superficie di un terzo più piccola, ha costruito la sua campagna elettorale, quest'anno come nel 2009. Il Gujarat, con un Pil doppio di quello della Slovenia, non è solo la quinta economia del Subcontinente. È anche lo Stato indiano che forse ha conosciuto lo sviluppo più rapido negli ultimi vent'anni, con tassi spesso a doppia cifra e superiori a quelli nazionali. Anche quando rallentava: l'anno scorso, è cresciuto "solo" dell'8%, contro il 4,5% dell'India. Quel che più conta, però, è che nel Gujarat il 90% delle strade è asfaltato e la corrente elettrica arriva 24 ore su 24, 365 giorni l'anno, quando in molte aree del Paese le imprese sono costrette a dotarsi di costosi generatori autonomi per non dover interrompere la produzione durante i frequenti e lunghi black out.

«Vota per Modi - ripetono i suoi sostenitori - e Modi farà per l'India quello che ha fatto per il Gujarat». E tra i suoi sostenitori c'è il gotha dell'economia indiana, a cominciare dall'uomo più ricco del Paese, il presidente delle Reliance Industries, Mukesh Ambani, per continuare con l'ex presidente di Tata, Ratan Tata.

Modi promette 250 milioni di posti di lavoro nei prossimi dieci anni (ma la vera svolta sarebbe creare lavoro ben retribuito), 100 nuove smart city, investimenti infrastrutturali, semplificazione normativa, taglio della burocrazia e sviluppo del commercio come cuore della politica estera del Paese. Senza rinunciare ad alcuni dei cavalli di battaglia del nazionalismo economico indiano, compresa l'ostilità nei confronti delle multinazionali della grande distribuzione.

Ma quello che il Bjp sembra davvero promettere, e che l'elettorato sembra riconoscergli, è una maggiore capacità di governare e varare quelle riforme che servono al Paese per liberare il suo potenziale. Lo stesso messaggio che sembrava vincente già nel 2009. Allora però, Sonia Gandhi (67 anni) riuscì a guidare il Congresso in una rimonta quasi impossibile, consegnando a Manmoahn Singh il secondo mandato consecutivo da premier, caso raro in un Paese con una spiccata tendenza al ricambio. Che il miracolo si ripeta sembra tanto più difficile, con il partito della dinastia Nehru-Gandhi macchiato da scandali di corruzione e al centro di una sofferta transizione. Il front runner è il figlio di Sonia, Raul Gandhi (43 anni). Schivo al punto da sembrare riluttante, si è limitato a ribadire la promessa di potenziare il programma alimentare a favore delle aree rurali di un Paese che vede ancora un terzo della popolazione vivere con meno di 1,2 dollari al giorno (secondo la Banca mondiale). In rotta in tutto il Paese, il partito sembra tenere solo negli Stati più poveri. I più disincantati tra i suoi membri si accontenterebbero di conquistare 100 seggi, dai 206 attuali.

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