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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2014 alle ore 08:13.

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RIMINI. Dal nostro inviato
Il lago Chad, ai bordi del Sahara, nel cuore del Sahel era una delle maggiori riserve di acqua dolce dell'Africa. Oggi sta morendo. Per lasciare spazio al deserto. Negli ultimi 50 anni la superficie del lago si è ridotta del 90%: da oltre 25mila chilometri quadrati a meno di 2.500. Le fotografie aeree del bacino riprese nei decenni e messe a confronto sono impressionanti: si vede un'enorme area azzurra ridotta a poco più di una macchia. I motivi sono diversi: l'innalzamento delle temperature causato dai cambiamenti climatici per l'effetto serra, la riduzione delle piogge e le annate di siccità persistenti, il prelievo incontrollato delle acque dai fiumi affluenti e dal bacino.
L'avanzamento del deserto è una grande minaccia per la sopravvivenza di oltre 45 milioni di abitanti dell'area e per le attività agricole, la pesca e l'allevamento. Non solo. Deserto e povertà sono l'ambiente ideale per la diffusione del fondamentalismo religioso e delle bande criminali.
Per cercare di invertire la tendenza i Paesi del bacino, assieme a scienziati e università, hanno redatto un piano quinquennale di interventi per mettere in sicurezza il lago. Un appello alla comunità internazionale è stato lanciato ieri a Rimini, alla Conferenza dei donatori per la rivitalizzazione del lago Chad organizzata da Romano Prodi e dalla sua Fondazione per la Collaborazione tra i popoli assieme alla Commissione del bacino del Lago Chad, alla presenza di 60 delegazioni internazionali. «La pace in questa regione - dice Prodi - può essere promossa solo attraverso un più equilibrato e sostenibile sviluppo economico che attenui le condizioni di povertà e offra alle popolazioni prospettive. Bisogna agire, ma agire subito per evitare una catastrofe ambientale e umanitaria».
Il 31 gennaio Prodi ha terminato il suo incarico di inviato speciale dell'Onu per il Sahel. Il professore ha consegnato a Ban Ki-moon un rapporto con una serie di proposte per sviluppare l'area, tra le più povere al mondo.
Il 3 febbraio l'Onu ha lanciato un nuovo piano triennale di aiuti per il Sahel che prevede la raccolta di 2 miliardi di dollari nel 2014. Ma è difficile in tempo di crisi reperire le risorse. Prodi ha lanciato anche una proposta innovativa per evitare il flop nella raccolta di aiuti. «L'Onu - spiega - è accusata da più parti di costare troppo. Oggi i Paesi donatori danno il loro contributo direttamente alle Nazioni Unite. Noi abbiamo proposto che a tale modalità si aggiunga quella che gli inglesi chiamano "kind", genere. Vale a dire: invece di dar soldi all'Onu la Germania, ad esempio, sotto la direzione dell'Onu, può scegliere di realizzare direttamente un determinato progetto di cooperazione e lo porta a termine, controllando spesa e attuazione. La scelta resta multilaterale, l'esecuzione rientra nella capacità decisionale dei singoli».

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