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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2014 alle ore 15:21.

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Il 5 aprile scorso nella cittadina di Bejaia, 150 chilometri a est di Algeri, Abdelmalek Sellal ha dovuto fare i conti con un'amara realtà. Centinaia di dimostranti inferociti hanno bloccato le strade lanciando pietre contro le forze dell'ordine. L'ex primo ministro, un navigato politico a cui è stata affidata l'organizzazione della campagna elettorale per il presidente Abdelaziz Buteflika, è stato costretto ad annullare il comizio. Il grande salone del centro culturale dove doveva parlare è stato dato alle fiamme. Diversi poliziotti e giornalisti sono stati feriti negli scontri durati parecchie ore.

Bejaia è la maggior cittadina della Cabilia, la culla della civiltà berbera, un regione dove il risentimento verso il governo è sempre stato alto. Ma quello del 5 aprile non è stato un incidente isolato. Nel solo Paese della sponda sud del Mediterraneo, insieme al Marocco, a non esser stato travolto dal vento della primavera araba sta crescendo un malcontento sempre più tangibile verso l'elite al potere. Una sensazione di frustrazione, rassegnazione e rabbia che in alcuni casi sta sfociando in manifestazioni di protesta , tutte prontamente represse dalle forze dell'ordine. Esprimere collettivamente il dissenso contro il potere in Algeria è un atto raro, e poco gradito .

Un po' su tutto il territorio del Paese più esteso dell'Africa, con una superficie di 2,4 milioni di chilometri quadrati (quasi otto volte l'Italia) sono tutti, o quasi, consapevoli che le prossime elezioni presidenziali – giovedì - sono già la cronaca di una vittoria annunciata: quella di Bouteflika.

Salito al potere nelle elezioni del 1999, 77 anni, l'uomo che ha il merito di aver posto fine alla sanguinosa guerre civile (1991-1999) costata la vita a 150mila persone, è poi stato riconfermato nel 2004 e nel 2009. In quest'ultimo voto ha raccolto il 90% dei consensi.
Nell'aria da tempo, l'ultima candidatura di Bouteflika è stata formalizzata ufficialmente lo scorso marzo ed ha scatenato critiche ancor più accese dall'opposizione a causa delle precarie condizioni di salute del presidente.

Colpito l'anno scorso da un attacco ischemico, curato per tre mesi a Parigi, Bouteflika è definito dai suoi avversari un candidato fantasma. In tutta la lunga campagna elettorale è apparso solo due volte in televisione. Sabato scorso e due settimane fa quando, in occasione della visita del Segretario di stato americano John Kerry ad Algeri, l'anziano presidente è rimasto seduto per molto tempo seduto. Il suo discorso di benvenuto si udiva a fatica, tanto la sua voce era flebile e provata.

La pervicacia con cui ha voluto restare in sella al potere ha però avuto due importanti - e inattesi - effetti collaterali. Le forze dell'opposizione, storicamente divise tra partiti islamici e "laici", hanno forgiato una sorta di alleanza anti governativa, chiamando entrambe per il boicottaggio delle elezioni. L'Elite al potere, conosciuta per essere un monolite difficile da scalfire , ha invece mostrato i primi segni di divisione. In un paese dove l'esercito,"Le Pouvoir", raramente esprime la sua voce in pubblico, i media locali hanno riportato le critiche manifestate da alcuni ex ufficiali di alto grado, ormai ritirati, verso Bouteflika. Un fatto inusuale. Come lo è la neutralità nella campagna elettorale dichiarata da altri vertici militari ad alcuni media privati.

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