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Questo articolo è stato pubblicato il 15 aprile 2014 alle ore 08:15.

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Un aumento del reddito disponibile di 545 euro l'anno per ogni famiglia europea di quattro persone. E' il "regalo" che arriverebbe – anche all'Italia – se i negoziati in corso da qualche mese tra Ue e Usa per una liberalizzazione di commercio e investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership) sfociassero in un accordo a tutto tondo. Più in dettaglio, da un'intesa degna di questo nome l'Unione europea guadagnerebbe la bellezza di 119 miliardi di euro l'anno a regime e gli Usa 95 miliardi di euro. A dirlo è un voluminoso studio realizzato dal Cepr di Londra (Centre for Economic Policy Research) per la Commissione Ue.

Come è possibile? Semplice: l'abbattimento delle barriere non tariffarie, il principale e più ambizioso obiettivo dell'accordo, rappresenterebbe un taglio secco dell'80% delle spese burocratiche e di adeguamento di standard diversi, aumentando le economie di scala. Il risultato sarebbe un incremento delle esportazioni Ue verso gli Usa del 28%, per la gioia anche delle imprese italiane (Pmi comprese). Ma c'è dell'altro: la liberalizzazione degli scambi tra Stato dell'Unione e Unione europea non avverrebbe a scapito del resto del mondo, anzi secondo il Cepr il commercio mondiale beneficerebbe di un impatto positivo pari a 100 miliardi di euro. Anche se non è improbabile che la potenza di fuoco di Pechino uscirebbe un po' ridimensionata da un forte asse commerciale transatlantico.

A guadagnarci, naturalmente, sarebbe anche l'Italia. Nell'industria alimentare finalmente gli Stati Uniti riconoscerebbero gli oltre 750 marchi di indicazione geografica in cui il nostro Paese è leader, avendo finalmente la possibilità di sbaragliare i "cloni" statunitensi (ossia le aziende a stelle e strisce che usano nomi e simboli legati all'Italia per vendere prodotti che con l'Italia c'entrano poco o nulla). E l'industria del food tricolore beneficerebbe anche di controlli fito-sanitari meno stringenti, per esempio sui salumi, e di dazi più contenuti.

Ma l'Italia potrebbe festeggiare anche da altri "dossier" dell'intesa: dall'omologazione degli standard tecnici (che rappresentano ancora un freno a mano tirato su automotive, farmaceutica e chimica) all'accesso agli appalti pubblici (ora meno di un terzo di quelli Usa è aperto alla concorrenza internazionale).

L'accordo non è dietro l'angolo e gli ostacoli non mancano. Un'intesa a tutto tondo pesterebbe i piedi a molte lobbies, sia al di qua che al di là dell'Atlantico, senza contare alcuni delicati capitoli sul fronte della sicurezza alimentare, a partire dagli Ogm. Ma la speranza è per un'intesa degna di questo nome, da cui scaturiscano vantaggi reciproci. Non da ultimo sul fronte energetico. Come ha espressamente dichiarato Barack Obama durante il suo recente viaggio in Europa, un accordo commerciale faciliterebbe l'esportazione di shale gas a stelle e strisce nel Vecchio continente, rendendoci meno dipendenti dai capricci energetici di Mosca e del suo zar Putin.

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