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Questo articolo è stato pubblicato il 28 aprile 2014 alle ore 13:11.

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Non c'è più limite alla brutalità in quello che sta diventando uno dei regimi più repressivi del mondo, quasi come l'Iraq di Saddam Hussein, già come lo Zimbabwe di Robert Mugabe. Lo stesso tribunale egiziano di Minya che a marzo aveva chiesto la condanna a morte per 529 attivisti della fratellanza islamica, oggi ne ha aggiunti altri 683.

Questa giustizia egiziana intesa come killing field ne ha fatta un'altra: ha anche messo fuori legge il Movimento 6 Aprile. E' il gruppo giovanile democratico che tre anni fa iniziò la rivolta di piazza Tahrir, i cui leaders sono già in carcere da mesi a subire pene pesanti a causa di accuse inesistenti. Il 6 Aprile non ha nulla a che fare con i Fratelli musulmani: è laico, democratico e opposto al movimento islamico. Quello che li unisce alla fratellanza è l'opposizione prima al regime di Hosni Mubarak e ora a quello dei militari, opaco e sempre più uguale al precedente del vecchio dittatore.

Delle 529 condanne a morte richieste a marzo, 492 sono state convertite in carcere a vita. Molto probabilmente accadrà lo stesso per le nuove 683 richieste di oggi. Nell'ultima lista c'è di possibili condannati alla pena capitale c'è anche Mohammed Badie, la guida spirituale dei Fratelli musulmani. Ma quello che turba è la facilità con cui la gente viene incarcerata e condannata e con cui è usata la pena di morte o la minaccia di comminarla. Questo è un regime del quale siamo amici, col quale abbiamo intensi scambi economici, insieme al quale condividiamo interessi geopolitici regionali. Ma sembra sia immune e impermeabile alle critiche.

La crescente brutalità del regime nasce da una male intesa necessità di ordine e da quel mantra che permette ai regimi di violare le più elementari regole di libertà civili: la lotta al terrorismo. L'Egitto è effettivamente sotto attacco terroristico nella penisola del Sinai e ormai anche al Cairo. Ma è proprio la brutalità del regime, il suo cieco punire chiunque la pensi diversamente, che offre agli elementi dell'Islam radicale facili consensi e comodi santuari.

Non è chiaro se queste ripetute decisioni dei giudici, molti dei quali attivi sostenitori del vecchio regime di Hosni Mubarak, siano una manovra contro il generale Abdel Fattah al Sisi, o sollecitata da lui. Il 26 e 27 maggio in Egitto si vota per le presidenziali e al Sisi, ex comandante in capo delle forze armate, ex vicepremier, ex ministro della Difesa e dell'Industria militare, sarà una specie di candidato unico: qualche altro concorrente verrà trovato ma solo per facciata. Apparentemente l'attivismo ottusamente repressivo dei giudici e della polizia – oltre ai Fratelli musulmani e ai giovani del 6 Aprile in carcere ci sono anche decine di giornalisti - rende impossibile ad al Sisi di godere di una buona stampa internazionale. E resterà così fino a quando non sarà chiarito cosa deciderà di essere al Sisi una volta eletto: un Mubarak di 20 anni più giovane o un vero riformatore del Paese.

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