I ciclisti fuorilegge: storie di latitanti biker, ladri gentiluomini appassionati di corse ed eroi d'altri tempi
Ciclisti brava gente, verrebbe da dire. Il che è senz'altro vero. Con qualche eccezione però. Ecco sei ritratti di ciclisti fuori dal comune e dalla legge
di Matteo Scarabelli
6. Il "fuorilegge" Bartali
Gino Bartali al giro di Lombardia, 1952
Insieme a quello di Fausto Coppi, il nome di Gino Bartali rappresenta un'Italia (forse) irripetibile nel ciclismo. In vent'anni di carriera ha vinto due volte il Tour de France e tre volte il Giro d'Italia, oltre a Milano-Sanremo, Giro di Lombardia, Giro di Toscana e campionato italiano, tanto per citare i successi più prestigiosi. La sua carriera, però, fu "interrotta" dalla seconda Guerra mondiale, senza la quale il suo palmares sarebbe stato ancora più ricco. Durante il conflitto, comunque, Bartali continuò a correre. Ma non per vincere delle gare, bensì per consegnare foto e documenti utili agli ebrei perseguitati, nascosti in chiese e conventi. Tra il 1943 e il 1944, su incarico dell'arcivescovo di Firenze, il cardinale Elia Dalla Costa, con la scusa degli allenamenti, il campione toscano batté le strade di Umbria e Toscana, passando (e talvolta aggirando) i posti di blocco dei militari con i documenti nascosti nella canna della bicicletta. Bartali, comunque, non è il solo a essersi distinti per imprese del genere. Altri ciclisti partigiani sono stati Luigi Ganna, primo vincitore del Giro d'Italia nel 1909, che fornì alla 121a Brigata Garibaldi dieci biciclette della sua azienda, e Alfredo Martini, storico commissario tecnico della Nazionale, che riforniva i partigiani sulle colline di Sesto Fiorentino di tutto l'occorrente per la sopravvivenza e la battaglia. Bombe molotov comprese.
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