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Questo articolo è stato pubblicato il 30 aprile 2014 alle ore 18:40.
L'ultima modifica è del 30 aprile 2014 alle ore 18:44.

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Si gioca sul delicato crinale dell'«abuso di diritto» il fronte ancora aperto tra il fisco e Domenico Dolce e Stefano Gabbana. Un fronte che si aggiunge a quello penale che sfocerà presto in Cassazione. I due stilisti sono impegnati in un duplice contenzioso con l'Agenzia delle entrate, il più importante dei quali è sfociato in una maxi multa da 343,4 milioni di euro (più gli interessi) inflitta dalla commissione tributaria di Milano nel marzo dello scorso anno. Il secondo fronte aperto riguarda 130 milioni di imponibile Ires contestato per gli anni 2004 e 2005 alla società lussemburghese Gado. Su entrambi i giudizi pende adesso il ricorso in Cassazione dopo che le commissioni tributarie hanno dato torto ai due stilisti sia in primo grado sia in appello.

Ma andiamo con ordine. Tutto comincia quattro anni fa, nel giugno 2010, quando l'Agenzia delle entrate notifica a Dolce e Gabbana due avvisi di accertamento relativi al 2004, elevando per ciascuno di loro la voce "altri redditi" da 25,4 milioni a 442,3 milioni di euro. Gli ispettori del fisco contestano insomma agli stilisti una maggiore imposta Irpef per 187,5 milioni di euro, una maggiore addizionale regionale di 5,8 milioni e una sanzione amministrativa pecuniaria di 193,4 milioni di euro per ciascuno di loro. Su quali basi si fonda la contestazione? Nel marzo 2004 Dolce e Gabbana, fino ad allora fisicamente titolari dei marchi, li avevano ceduti alla società lussemburghese Gado Sarl al prezzo di 360 milioni di euro. Gado era controllata al 100% dalla Dolce & Gabbana Luxemburg, a sua volta posseduta dalla holding italiana Dolce & Gabbana Srl, i cui proprietari erano i due stilisti, ciascuno con una quota del 50%. Il pagamento dei 360 milioni sarebbe avvenuto nell'arco di sette anni. Nel frattempo - rilevava l'Agenzia delle entrate - la Dolce & Gabbana Srl (licenziataria esclusiva di Gado) si impegnava a pagare alla società lussemburghese royalties variabili dal 3 all'8% dei ricavi, con un mimino garantito di 54 milioni di euro che sarebbe aumentato di almeno il 7% all'anno nell'arco dei successivi 12 anni.

In definitiva, il flusso presunto di royalties avrebbe permesso alla Gado di incassare circa 900 milioni di euro in 12 anni. Non solo. Per gli ispettori del fisco i guadagni che dall'Italia sarebbero arrivati in Lussemburgo sarebbero stati tassati a meno di un decimo rispetto al livello di imposta sulle persone fisiche in Italia. Insomma, invece del 45% Dolce e Gabbana avrebbero pagato meno del 4% in virtù di un accordo per la tassazione stipulato con le autorità lussemburghesi. Il marchio, dunque, sarebbe stato ceduto a un prezzo inadeguato rispetto alla stima di 1,19 miliardi stabilito dall'Agenzia delle entrate.

Dopo la contestazione parte il ricorso degli stilisti e nel novembre 2011 la commissione tributaria provinciale di Milano ridetermina il valore complessivo dei marchi abbassandolo a 730 milioni di euro. A marzo 2013, infine, la commissione regionale tributaria di Milano conferma la multa da 343,4 milioni di euro. Sulla decisione pende adesso il ricorso in Cassazione. La Corte suprema dovrà anche pronunciarsi su un secondo ricorso, sempre relativo al contenzioso sul valore dei marchi, presentato dai legali dei due stilisti che chiedono l'annullamento della sentenza della commissione tributaria perché sarebbe basata su un'interpretazione di un dato storico non fondato. Va detto che nel processo penale Dolce e Gabbana sono stati assolti dall'ipotesi di reato di dichiarazione infedele collegata alla vendita dei marchi «perché il fatto non sussiste» e questo elemento potrebbe condizionare a loro favore la decisione della Cassazione sul contenzioso tributario.

Il secondo fronte ancora aperto sul piano fiscale riguarda la contestazione della presunta esterovestizione della Gado. In questo caso il fisco chiede a Dolce e Gabbana un maggiore imponibile Ires di 60 milioni nel 2004 e di 73 milioni nel 2005, per un totale di 133 milioni su cui rideterminare l'imposta. In primo e secondo grado le commissioni tributarie hanno dato torto ai due stilisti, che hanno fatto ricorso in Cassazione. I legali di Dolce e Gabbana contestano il fatto i giudici tributari abbiano deciso solo sulla base degli elementi raccolti dalla Guardia di Finanza senza utilizzare le testimonianze che sono state portate nel processo penale e che, a loro avviso, avrebbero potuto ribaltare le sentenze.

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