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Tre donne hanno le chiavi del prossimo governo indiano

Jayaram JayalalithaaJayaram Jayalalithaa

La "madre", la "grande sorella" e la paladina degli intoccabili. Passa per tre donne la forma e il destino del prossimo governo indiano, quello che sarà formato al termine del processo elettorale, il 16 maggio, quando sarà reso noto il risultato del voto cominciato il 7 aprile.
Con il Partito del Congresso della dinastia Nehru-Gandhi avviato verso la peggiore sconfitta della sua storia dopo dieci anni di governo, il grande favorito è il Partito nazionalista indù (Bjp), che potrebbe però non riuscire a conquistare da solo la maggioranza della Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento. L'esito più probabile è allora un governo di coalizione, con l'appoggio di uno o più partiti regionali. E qui entrano in gioco le tre outsiders della politica indiana, a capo dei più importanti partiti di tre Stati che rappresentano il 30% dei 543 seggi della Camera. Sono Jayaram Jayalalithaa (66 anni), leader del Tamil Nadu che guida dal 2011, Mamata Banerjee (59 anni), chief minister del West Bengal, e Kumari Mayawati (58 anni), leader del partito dei dalit al governo dell'Uttar Pradesh. Formare un esecutivo senza dividere il potere con almeno una di queste tre donne sarà complicato. E ognuna di loro chiederà qualcosa in cambio.

Jayalalithaa, la "madre" (amma in hindi) come la chiamano i suoi seguaci, è un'ex star del cinema con 140 film all'attivo. Segretario generale dell'All India anna dravida munnetra kazhagam (Aiadmk) e tre volte chief minister del Tamil Nadu, è quella che coltiva i progetti più ambiziosi, non avendo nascosto le sue mire alla carica di premier. In passato si è alleata sia con il Congresso che con il Bjp. Il suo manifesto elettorale promette di estendere all'intero Paese misure già applicate nel Tamil Nadu, come la cancellazione degli interessi dovuti sui prestiti contratti da agricoltori che ripagano le somme nei termini e l'esenzione fiscale su redditi fino a 8.200 dollari. Sotto la guida della "madre", la popolazione del Tamil Nadu (39 seggi) ha visto migliorare la propria qualità della vita e ora il Pil pro-capite è il nono tra i 35 tra Stati e territori autonomi che compongono l'Unione indiana.

La "grande sorella" (didi in hindi), Mamata Banerjee, è entrata nella storia nel 2011, quando il suo partito, All India trinamol congress, alleato al Congresso, mise fine a tre decenni di dominio comunista nel West Bengal (42 seggi). Anche lei ha stretto alleanze sia con il partito dei Gandhi che con i nazionalisti del Bjp, con il quale condivide l'avversione all'apertura del commercio al dettaglio alle multinazionali della grande distribuzione, al punto da aver rotto nel 2012 il patto con il Congresso in opposizione alla blanda apertura varata dal premier uscente Manmoahn Singh. Banerjee vuole, per il West Bengal, maggiore assistenza finanziaria da New Delhi per far fronte al debito ereditato dall'era comunista. Con un Pil pari al 6,7% di quello indiano, il West Bengal è 20° per ricchezza pro-capite.

Regina degli ultimi, Kumari Mayawati, ha costruito la sua carriera politica nell'Uttar Pradesh difendendo i diritti dei dalit, gli intoccabili nel sistema delle caste indiano. Insieme a Bihar, Madyha Pradesh e Rajastan, lo stato è tra i più poveri e arretrati dell'India, 31° su 35 per ricchezza pro-capite. Tra il 2008 e il 2013, però, il suo Pil è cresciuto in media del 7% e punta ad accelerare al 10% nel 2016 con investimenti in infrastrutture e istruzione.
Mayawati, leader del Bahujan (o dalit) samaj party, è stata per tre volte chief minister e sostiene una piattaforma politica di potenziamento del welfare a favore dei più poveri e delle minoranze religiose e si è posta come punto di riferimento anche della comunità musulmana, a sua volta ai margini della società indiana. Per questo i rapporti con il Partito nazionalista indù sono molto freddi: il suo leader, Narendra Modi, è accusato di non aver saputo impedire, e forse di aver favorito, il pogrom religioso contro i musulmani che nel 2002 provocò oltre 1.200 morti nel Gujarat, stato di cui era chief minister da pochi mesi. Di recente, però, Mayawati è stata molto critica anche nei confronti del Congresso, accusato di non aver saputo governare il Paese. Con i suoi 134 milioni di elettori e 80 seggi, l'Uttar Pradesh è uno Stato chiave per le elezioni.

Donne di potere in una società fortemente maschilista, queste tre leader hanno due cose in comune: l'obiettivo di conquistare quanti più seggi possibile e la speranza di vedere uscire dal voto un Parlamento senza una maggioranza chiara, nel quale giocare, se non proprio il ruolo di regine, quello di king makers.

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