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Questo articolo è stato pubblicato il 02 maggio 2014 alle ore 18:03.
L'ultima modifica è del 03 maggio 2014 alle ore 09:36.

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(Reuters)(Reuters)

Si chiama Charles Miller il ragazzo che negli ultimi anni del 1800 ha importato il calcio in Brasile, dall'Inghilterra. Che forse, dall'aldilà sincretico, se la ride di tutti i convinti assertori (nei primi del ‘900) dell'impossibilità, per i brasiliani, di appassionarsi all'arte pedatoria. È andata come sappiamo: il Brasile, negli ultimi 70 anni, è stata la prima potenza calcistica.

Qualche preoccupazione però, sempre dall'aldilà sincretico - il Brasile è un Paese cattolico in cui si sono innestate religioni afro e credenze precolombiane - Miller potrebbe nutrirla per il corretto svolgimento della Coppa del mondo del 2014 in programma tra 40 giorni.

Da mesi si susseguono scontri, manifestazioni di piazza, centinaia di feriti, proteste diffuse per l'eccesso di spese (10miliardi di euro) a favore di un evento che drena risorse ad altri capitoli di spesa, la sanità, la previdenza, l'istruzione e i trasporti. Non era mai accaduto di vedere manifesti sui muri delle città brasiliane con la scritta "não vai tener copa", non ci sarà la Coppa, sottintendendo che il maxi evento verrà sabotato e inquinato da violenze. «Questa è la Coppa delle élite, dei ricchi, della Fifa, ma il Paese ha altre priorità», gridano i manifestanti.

Le prime proteste risalgono al giugno scorso, in occasione dell'aumento del prezzo del biglietto sui mezzi pubblici. Più di un milione di manifestanti hanno sfilato lungo l'Avenida Paulista, a San Paolo e cortei imponenti hanno sfilato in molte altre città del Paese. Difficile prevedere il clima in cui si inaugurerà l'inizio del torneo, difficile stimare quanti brasiliani si appassioneranno fin da subito al torneo per una Seleção favorita per la vittoria e quanti persevereranno nelle proteste ignorando le partite.

Di certo il governo di Dilma Rousseff di partite se ne gioca due di straordinaria importanza: la prima è il consenso in vista delle elezioni del prossimo ottobre, data in cui la presidente si ripresenta come candidata. La seconda è l'immagine che il Brasile riuscirà a riflettere di se stesso davanti a qualche miliardo di telespettatori.

Ecco perché, nelle 12 città in cui si giocheranno le partite, sono stati schierati 180mila agenti di sicurezza. Uno spiegamento di forze senza precedenti, in un mondiale di calcio. Il ministro dello Sport, Aldo Rebelo, ammette l'esistenza del problema sicurezza ma rilancia l'immagine pacifica del Brasile che con i suoi 200milioni di abitanti e 16mila chilometri di coste non è in guerra con nessuno. «Il nostro problema – dice Rebelo – è la disuguaglianza».

Il Brasile con i suoi politici e i suoi poliziotti dovrà far tutto da sé. Per ora non vi è stato alcun aiuto esterno, anzi. I toni della Fifa e pochi giorni fa quelli della diplomazia della Germania, sono stati veramente allarmistici. La Fifa stessa si è spinta stilare un vademecum semiserio in dieci punti per turisti che è stato molto criticato.

È legittimo avvertire i tifosi stranieri dei pericoli che può nascondere un Paese con alti indici di violenza, eccessivo diramare bollettini informativi in cui si descrive la sesta potenza mondiale, con industrie di eccellenza e una straordinaria ricchezza culturale, come una sorta di repubblica della banane.

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