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Questo articolo è stato pubblicato il 03 maggio 2014 alle ore 13:10.
L'ultima modifica è del 03 maggio 2014 alle ore 15:54.

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L'ordine arriva direttamente dalla Casa Bianca: i ceo dei colossi a stelle e strisce stavolta devono stare alla larga dall'International Economic Forum che inizia il 22 maggio a San Pietroburgo. Trattasi di una specie di Davos in miniatura, trasferita sul Baltico, che raduna un centinaio di ceo da tutto il mondo: per fare conferenze, divertirsi la sera ai balletti russi ma soprattutto per organizzare nuovi business con gli oligarchi sotto l'aura benevola del Cremlino.

Quest'anno, con la crisi ucraina, non è il caso. Lo ha detto chiaro e tondo Laura Lucas Magnuson, la portavoce del National Security Council statunitense: «gli executive che vanno in Russia per farsi vedere con esponenti del Governo a eventi come questo mandano un messaggio poco appropriato, considerata l'attuale condotta di Mosca».

E se Washington chiama, Wall Street risponde. La lista delle defezioni alla «Davos di Putin» ha già nomi eccellenti: General Electric, con il ceo Jeff Immelt che ha preferito al Baltico uno speech in Florida; Citigroup e Alcoa, che manderanno una piccola pattuglia di manager ma rigorosamente senza ceo. E secondo alcune fonti sarebbe pronto a dare forfait anche Lloyd Blankfein, il potentissimo amministratore delegato di Goldman Sachs.

Ma c'è anche chi ha fatto orecchie da mercante all'appello della Casa Bianca: in particolare le big europee come la tedesca E.ON, la francese Alstom e l'olandese Philips. Perfino la danese Carlsberg, quella della birra, manderà il suo ceo a San Pietroburgo a fare affari con gli oligarchi. Pecunia non olet.

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