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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2014 alle ore 11:16.
L'ultima modifica è del 07 maggio 2014 alle ore 14:19.

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Una volta era un concorso di colpa tra l'ingordigia fiscale e la rete dei distributori vecchia, frammentata e diseconomica. Ora le responsabilità sembrano essere decisamente (e ancora più tristemente) cambiate. Perché il dolore aggiuntivo inflitto agli automobilisti italiani, in termini di maggior costo di benzina e gasolio rispetto a quel che pagano gli altri cittadini europei, deriva praticamente per intero dall'ingordigia del nostro fisco. L'atto d'accusa, che sembra ben argomentato, viene dall'ultima rilevazione sullo "stacco Italia", ovvero il differenziale di prezzo con l'Europa, elaborata da Assopetroli-Assoenergia insieme a Figisc-Anisa-Confcommercio. Gli operatori respingono così al mittente non solo l'accusa di non saper contenere i prezzi. Anzi, nonostante la diseconomicità della rete di distribuzione italiana, sembra proprio che i margini per gli operatori si siano ridotti all'osso. Tanto da aver quasi azzerato il sovrappiù fatto pagare ai consumatori, se consideriamo il valore della filiera industriale dei carburanti al netto delle imposizioni fiscali (accise e Iva).

Fisco record, accusano gli artefici dell'ultima indagine analitica. Tant'è che al netto delle addizionali regionali il carico fiscale sui carburanti ha toccato lo scorso aprile il 60,84% del prezzo al consumo. E "il dato che colpisce è che del solo differenziale oltre il 96% per la benzina e addirittura oltre il 97% per il gasolio sono tasse". Dunque "ad aprile il consumatore italiano ha pagato in media la benzina 25,9 centesimi di euro al litro e il gasolio 25,1 centesimi in più che nel resto d'Europa". E la colpa è appunto del fisco, perché la maggiorazione sulla benzina deriva per ben 24,9 centesimi al litro dalle maggiori imposte e solo per un centesimo - si sostiene nella rilevazione - dal maggior prezzo industriale, che incorpora appunto la diseconomicità della filiera. Per il gasolio il differenziale viene da maggiori imposte per 24,4 centesimi al litro e solo per 0,7 centesimi al maggior prezzo industriale.

Una zavorra anche per le entrate
La zavorra fiscale pesa ormai per il 61% sul prezzo finale di un litro di benzina. E non è finita. "Siamo fortemente preoccupati" - tuonava solo pochi giorni fa il presidente di Assopetroli-Assoenergia, Franco Ferrari Aggradi - perché dall'ultimo DEF "emerge per il settore della distribuzione dei carburanti un quadro davvero preoccupante, con una previsione di gettito per il 2014 di ulteriori 1. 416 milioni derivanti da aumenti di accisa già disposti da precedenti provvedimenti". Stime peraltro non attendibili, secondo Ferrari Aggradi. Che osserva come l'aspettativa è presumibilmente determinata dalla convinzione della rigidità della domanda di carburanti ovvero che non vi sarà nessun calo dei consumi ma piuttosto un aumento" mentre "i dati del settore dimostrano come realtà dal 2008 2013 si siano persi solo per benzina, gasolio e gpl, volumi di vendita corrispondenti ad un gettito potenziale di accise per circa 6 miliardi di euro". E non è finita: "i dati del primo trimestre 2014 confermano questo trend negativo" con un'ulteriore flessione del 2% "corrispondente a circa 150 milioni di perdita per l'erario". "Da ciò nascono le nostre preoccupazioni che tale ipotesi di gettito aggiuntivo per il 2014 prefiguri in realtà un ulteriore forzoso aumento della pressione fiscale sui carburanti".

Difficile stimare quanta parte del calo dei consumi derivi dall'impatto diretto della crisi economica generale e quanto invece dalla contrazione dovuta al fenomeno della "curva di Laffer", che sintetizza teoria argomentata a cavallo degli anni 80 dall'economista americano Arthur Laffer sull'effetto boomerang degli incrementi di imposizione fiscale sulle stesse entrate complessive a causa dell'effetto dissuasivo dei prezzi quando crescono troppo per colpa del fisco. Una cosa è certa: gli automobilisti italiani, comunque in crisi, sono costretti a fare i conti con una maggiorazione del prezzo europeo dei carburanti che induce a limitare l'uso dell'auto, stando comunque attenti a pestare un po' meno (e questo forse un bene) sull'acceleratore.

Boomerang da neutralizzare
All' "effetto Laffer" i petrolieri credono molto. "Il ministro delle Finanze di Sua Maestà britannica - rimarca Ferrari Aggradi - ha pubblicato uno studio dove effettivamente si conferma che la diminuzione delle imposte sui carburanti giova all'economia di quel paese tanto che un calo di pochi penny dovrebbe determinare, secondo lo studio, un impatto positivo sui differenti settori economici e produttivi con un aumento del Pil tra lo 0,3 e lo 0,5%". Il che permetterebbe di "recuperare il costo della detassazione attraverso l'aumento del gettito fiscale complessivo che deriva dall'incremento dei consumi generali e dalle attività economiche direttamente interessate". I margini per un'operazione analoga anche nel nostro paese ci sono, secondo i petrolieri. "Per almeno 10 centesimi al litro" sostiene Ferrari Aggradi. Che propone una mediazione operativa: la revisione al ribasso della tassazione "si potrebbe spalmare in un quinquennio effettuando una prima fase sperimentale di un anno per verificare l'effettivo ritorno sulle entrate erariali".

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