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Gli studenti uniti nella lotta alla mafia

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Dopo aver visto l'analisi "tedesca", novità di quest'anno, torniamo in Italia.
«Il report – commenta Vito Lo Monaco, presidente del Centro, che il 31 maggio riceverà il premio Rocco Chinnici a Piazza Armerina (Enna) per "l'importanza dell'attività educativa, contro la criminalità organizzata, svolta dal Centro Pio La Torre".– conferma i segnali forti e chiari di allarme e consapevolezza sociale da parte dei giovani che una classe dirigente attenta dovrebbe accogliere. Dovrebbe far riflettere la constatazione della maggioranza degli intervistati che ritiene che la corruzione è la causa principale dell'espansione del fenomeno mafioso nelle regioni centrosettentrionali non legata dunque all'emigrazione o all'infiltrazione della criminalità dalle regioni originarie. L'altra causa, per la quasi totalità degli intervistati (il 95%) è da attribuire interamente alla responsabilità della classe politica e alla cosiddetta "area grigia"».

«I ragazzi ci spiegano che non sono soltanto le attività criminali in senso stretto, coi loro ingenti profitti illeciti, a dare forza, autorità, prestigio, capacità di controllo sociale alle organizzazioni mafiose – è invece l'analisi del professor Alberto Vannucci, docente di Scienze Politiche all'Università di Pisa –. C'è la capacità di influenzare la vita politica e istituzionale a ogni livello. C'è un tessuto opaco di relazioni che i mafiosi allacciano con una classe politica e con un ceto burocratico apertamente colluso o connivente per vie indirette e sotterranee, ma anche con un mondo dell'imprenditoria e delle professioni dove la logica del profitto ad ogni costo autorizza anche relazioni pericolose, purché vantaggiose, con soggetti criminali in apparenza tanto generosi nell'erogare capitali di provenienza illecita da riciclare, protezione, informazioni, intermediazione con centri di potere e di autorità».

«L'accusa non coinvolge solo i politici – sottolinea Salvatore Sacco, consulente dell'Area finanza del consorzio Unipa e-learnings – visto che essa è molto più generalizzata e riguarda tutta la classe dirigente. In questa situazione la proiezione futura si fa disperata, in un mondo in cui i mafiosi o tout court i corrotti, la fanno da padrone; per l'82% dei ragazzi intervistati la mafia incide abbastanza o molto sull' economia del proprio territorio, così la ricerca del lavoro si presenta come un calvario (per il 73% la mafia rappresenterà un ostacolo alla costruzione del proprio futuro). Ed allora, quasi l'80% di loro invoca l'adozione di effettivi criteri meritocratici, ritenendo che i raccomandati siano in genere persone non valide, ma che hanno la meglio in una società come quella attuale in cui la raccomandazione è pratica molto diffusa».

«Prevalgono in misura talora schiacciante – rileva Antonio La Spina, Direttore del Master in Management e politiche della amministrazioni pubbliche alla Luiss di Roma – le risposte che rivelano sfiducia verso il prossimo. Le categorie che ottengono il maggior grado di fiducia sono gli insegnanti, seguiti da Forze dell'ordine, magistrati, parroci. Fanalino di coda sono i politici locali e ancor più nazionali. Alla domanda sull'impegno per gli altri e nella propria comunità potendo barrare fino a due alternative, il 72,53% ha risposto che ciò significa dedicarsi a chi ha bisogno (manifestando un'idea di solidarietà più individualizzata che sistemica), poi il 33,50% ha indicato il far volontariato entro un'associazione, il 26,36% difendere l'ambiente, mentre solo il 12,07% ha fatto riferimento al fare politica o al partecipare a comitati cittadini (11,48%)».

«Dal report – sottolinea Vincenzo Militello, ordinario di Diritto penale all'Università di Palermo – emerge una importante conferma del ruolo della scuola nell'opera di prevenzione diffusa. Essa è la sede in cui i giovani parlano maggiormente del fenomeno mafioso grazie al ruolo primario che i docenti rivestono nell'opera di sensibilizzazione e che viene in qualche modo ricambiato dai giovani con il riconoscimento ai docenti del massimo grado di fiducia fra i soggetti delle istituzioni. Pur se di mafia si parla anche in contesti extrascolastici (specie in famiglia), la maggioranza dei giovani riceve dai docenti informazioni in proposito, tanto tramite attività educative antimafia (frequentate dalla maggioranza del campione sin dalla scuola media inferiore e in misura ancora più diffusa in quella superiore): quanto direttamente con la trattazione di temi connessi al fenomeno».

«Principi emersi dall'indagine come il merito e la disapprovazione per il lavoro nero – dichiara Ernesto Savona, professore di criminologia all'Università del Sacro Cuore di Milano – indicano una tensione verso la legalità che fa ben sperare su questa generazione che si affaccerà tra qualche anno sul mercato del lavoro e che si aspetta dalle istituzioni comportamenti coerenti con queste aspettative».

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