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Questo articolo è stato pubblicato il 09 maggio 2014 alle ore 12:50.
L'ultima modifica è del 09 maggio 2014 alle ore 18:14.

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dal nostro inviato Roberta Miraglia

FIRENZE - La crisi ucraina rappresenta la più grande minaccia alla sicurezza europea nella storia dell'integrazione. Il confronto tra Mosca e Kiev ha un alto potenziale di destabilizzazione del continente, superiore anche a quello dei Balcani. José Manuel Barroso, a Firenze per la Conferenza The State of the Union organizzata dall'Istituto universitario europeo, ricorda di aver affrontato due crisi durante i suoi dieci anni alla presidenza della Commissione Ue, «una costituzionale, l'altra finanziaria. Appena ci stavamo riposando, Vladimir Putin ha deciso di aprirne un'altra».

Essenzialmente per motivi di consenso interno. «Conosco Putin molto bene – ha continuato il presidente della Commissione – è il leader non europeo che ho incontrato di più, almeno venti volte. Il suo cambio di atteggiamento nella politica estera si è verificato esattamente quando stava perdendo consenso interno». L'Ucraina voleva un accordo di associazione con la Ue, lo stava negoziando da cinque anni, lo sapevano tutti ma l'improvvisa svolta e il "no" sono arrivati per le pressioni di Mosca che ha deciso di dare priorità al suo progetto di Unione doganale di cui Kiev era il tassello più importante.

La risposta dell'Europa, secondo il presidente della Commissione, non è stata inadeguata, e riflette comunque le divisioni tra gli Stati membri e il limite dell'azione comune che si ferma sulla soglia della politica estera. «Abbiamo dimostrato che il comportamento delle autorità russe ha delle conseguenze. Dobbiamo cercare di convincere tutti i paesi ad aderire alle stesse posizioni», ha aggiunto. «Una posizione più forte non dipende dall'Alto rappresentante, a cui non si possono chiedere miracoli. Dipende dagli Stati membri. In realtà, mentre tutti sono pronti a condannare il comportamento di Mosca, non sempre sono d'accordo sulla risposta». Nonostante tutto, comunque, Barroso nutre la «speranza che un accordo politico si troverà».

Archiviare questa crisi è necessario per tornare ad occuparsi del cantiere europeo, della costruzione dell'integrazione che negli ultimi anni ha dovuto affrontare prove difficili. A cominciare di rischi di dissoluzione economica che Barroso ha iscritto, naturalmente, tra i momenti peggiori della sua presidenza, facendo un bilancio dei dieci anni passati a Bruxelles. Ha ricordato i momenti più bui anche per il nostro paese. «L'Italia è stata veramente vicina all'abisso: durante le fasi peggiori della crisi del debito c'erano molte pressioni perché venisse messa sotto la tutela dell'Fmi. Ma per fortuna non è successo». Alla vigilia di importanti elezioni europee, il presidente della Commissione ha rivendicato il ruolo positivo avuto da Bruxelles in un momento nel quale crescono, nell'opinione pubblica, scetticismo e disillusione. Proprio oggi che la «crisi esistenziale della moneta unica è risolta - ha detto - , mentre molti analisti ne prevedevano l'implosione, con l'uscita della Grecia. E si sono invece sbagliati». I governi nazionali devono però fare la loro parte nell'arginare l'euroscetticismo, perché spesso i politici tendono a dare alle istituzioni europee la colpa delle difficicoltà in cui si trovano. «Se critichi Bruxelles dal lunedì al sabato non puoi poi portare la gente a votare la domenica», ha concluso Barroso.

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