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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2014 alle ore 06:38.

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ROMA
«Il Partito democratico crede che la legge sia uguale per tutti. E la applica, sempre. Anche quando si tratta dei propri deputati. A viso aperto». In serata è lo stesso Matteo Renzi, con un tweet a volersi intestare il risultato sofferto ma chiaro del sì della Camera all'arresto del deputato democratico Fracantonio Genovese, indagato dalla Procura di Messina per una vicenda legata alla formazione professionale (vari i reati contestati, dall'associazione a delinquere al peculato alla truffa). Con voto palese, l'Aula di Montecitorio ha detto dunque sì all'arresto con 371 voti a favore e 39 contro. A favore dell'arresto Pd, Movimento 5 Stelle e Sel, contro Fi, Ncd e centristi. Solo 6 i deputati democratici che non si sono uniformati alla decisione del gruppo e hanno votato contro l'arresto: Giuseppe Fioroni, Maria Amato, Maria Gullo, Maria Greco, Tommaso Ginoble, Gero Grassi. Molti gli assenti, anche tra gli stessi grillini (presenze 70% contro l'84,3% del Pd). E il risultato del voto è accolto nell'Aula da un silenzio glaciale. Quando compaiono sul tabellone i risultati della votazione a scrutinio palese, nessuno parla né applaude: silenzio composto anche dai banchi grillini.
Il "cambia verso" arriva all'ora di pranzo, con le parole pronunciate in Aula dal capogruppo azzurro Renato Brunetta: «Forza Italia esprimerà voto contrario all'arresto del deputato del Pd Genovese e non chiederà il voto segreto dell'Aula della Camera». Bastano 30 deputati o un gruppo per imporre lo scrutinio segreto in casi come questo di Genovese, e fino a poche ore prima Fi sembrava orientata a chiederlo in difesa della linea garantista. Poi la svolta, a cui certo non è estranea la linea diplomatica attivata da Palazzo Chigi fin da mercoledì. I contatti con il capogruppo Roberto Speranza sono stati continui fino alla decisiva telefonata dell'ora di pranzo. Il grande timore del Pd era infatti che i grillini, approfittando del voto segreto, votassero contro l'arresto di Genovese (sommandosi ai "malpancisti" interni, sempre da mettere in conto in questi casi) per addossare poi la colpa al Pd e lucrare in campagna elettorale. Un trappolone, insomma, assolutamente da evitare. Ma anche il rinvio del voto dell'Aula a dopo le elezioni, ancora dato per probabile ieri mattina, rischiava di trasformarsi in boomerang per Renzi e il suo Pd. «Non mi faccio dare lezioni né mettere sulla graticola fino al 25 maggio»: così il premier, mentre la capigruppo è ancora in corso, decide di andare al voto subito. E fa trapelare che «il Pd chiede di votare subito, oggi stesso, per l'arresto di Genovese con voto palese». Infine la decisione della capigruppo – subito al voto palese – mentre una ventina di deputati pentastellati presidiano per evitare lo slittamento del voto al piano nobile di Montecitorio.

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