Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2014 alle ore 08:13.

My24

«Ogni vita umana è una vita, non ce n'è una superiore a un'altra»; «nessuno potrà più mettere il morso nella bocca di un suo simile, né potrà venderlo, da oggi la schiavitù non esisterà più»; «lo spirito dell'uomo vive grazie a tre cose: vedere ciò che ha voglia di vedere, dire ciò che ha voglia di dire, fare ciò che ha voglia di fare, perciò ora ciascuno risponde della sua persona, è libero nei suoi atti, nel rispetto delle leggi del suo paese». Narrano i griot che questi e altri princìpi di libertà, uguaglianza e non discriminazione vennero stabiliti nel cuore dell'Africa negli stessi anni in cui Giovanni Senzaterra concedeva ai baroni la Magna Carta. È l'epopea di Soundiata Keïta, con la proclamazione della Carta di Mandé (o di Kouroukan Fouga), sconosciuta ai più. Cheikh Hamidou Kane vuole raccontarla attraverso un'opera grandiosa.
«Scrivere non salverà la grande tradizione orale africana. La scrittura impone una disciplina e una certa limitazione nel l'espressione di quel che sentiamo, bisogna usare altri mezzi» sostiene l'ex-ministro senegalese di 86 anni, che la penna sa maneggiare piuttosto bene: il suo primo romanzo L'ambigua avventura è stato tradotto in 30 lingue ed è un libro di testo in molti Paesi dell'Africa francofona.
Pare di sentire un altro grande intellettuale pullo, Amadou Hampaté Bâ, che sosteneva che «la scrittura è l'ombra della parola». «Quando il griot declama l'epopea di Soundiata Keïta il suo racconto è molto più ricco, più chiaro, più emozionante di qualunque trascrizione. È per questo che ho contattato scrittori, cineasti, musicisti, uomini di teatro: voglio mettere in scena quel momento straordinario che fu l'ascesa di Soundiata Keïta, fondatore dell'impero del Mali, con cui iniziò il medioevo africano. Trasformarlo in un'opera in cui ci saranno i griot, la musica e la danza tradizionale» racconta a margine del salone del libro di Ginevra, conclusosi settimana scorsa.
"Riscoperta" alla fine degli anni 90, iscritta dall'Unesco nella lista del patrimonio intangibile dell'umanità (con parecchi errori) e quasi sconosciuta in Italia – «ma anche nel resto del mondo e purtroppo in Africa» –, quella della Carta di Mandé è una storia che Cheickh Hamidou Kane ripete a ogni occasione, nei suoi saggi, nei suoi articoli, durante le interviste: «Bisogna usare tutti i mezzi per far conoscere questa tappa fondamentale della storia africana, per far sapere che la libertà dell'individuo è stata proclamata in Africa all'inizio del XIII secolo».
«Soundiata Keïta era figlio di un re di uno dei 12 piccoli regni lungo il corso del Niger sopravvissuti alla distruzione dell'impero del Ghana. La madre era menomata, bruttissima esteriormente. Interiormente covava il desiderio di una rinascita della società e della cultura. Lui stesso quando nacque era paralitico, ma la determinazione della madre gli diede la forza di sopportare il suo handicap e di mobilitare gli altri 11 regni per liberarli dalla dominazione del re di Sosso. Mostrò che l'unità era meglio della dispersione e della rivalità, fondando un impero che dotò di una costituzione, la Carta di Mandé, appunto, che riprendeva princìpi della tradizione africana, affermando il diritto dell'individuo di fronte al potere: "tutte le vite sono una vita" significa che il re aveva il dovere di rispettare l'integrità fisica e morale di ognuno».
«È una carta – chiarisce Kane – che organizza la coesistenza tra il potere e i cittadini, tra gli individui e la società, i rapporti tra le generazioni – che devono essere di non prevaricazione, di solidarietà – e il modo di gestire le risorse naturali. Afferma che le centinaia di popoli del nuovo impero, che dall'Atlantico arriva a Est del fiume Niger, sono sottoposte alla stessa legge, la Carta di Mandé».
Le circostanze stesse in cui fu riportata alla luce sfiorano la leggenda: «Deve sapere – spiega Kane – che in Africa le piccole radio rurali sono molto importanti. Ascoltate anche nei più remoti villaggi dell'interno, contribuiscono allo sviluppo della comunità diffondendo informazioni su come difendersi dalle malattie o dalle siccità e favorendo la trasmissione della storia in modo più efficace del racconto orale. Nel 1998 l'associazione delle radio rurali di diversi Paesi africani organizzò un convegno dove furono invitati griot, sociologi, ricercatori e professionisti della comunicazione. Di giorno si discuteva e una notte i griot recitarono a turno la loro versione dell'epopea di Mandé, che nei secoli era stata tramandata di padre in figlio da tre famiglie di griot del Mali, della Guinea Bissau e del Senegal. Si resero così conto che anche se distavano centinaia di chilometri avevano conservato una versione comune. Un magistrato, egli stesso un griot, la trascrisse e la tradusse in francese. Il successo fu immediato».
Alcuni dei princìpi della dichiarazione mandinga dei diritti umani, la cooperazione tra i popoli e le generazioni, il rispetto dell'individuo, sono rimasti – secondo Kane – uno dei pilastri della cultura tradizionale africana. Da anni l'anziano intellettuale, laureato alla Sorbona in diritto e filosofia, critica il modello occidentale, troppo incentrato sulla competizione a scapito della cooperazione. «La nostra è una cultura che privilegia il dialogo, la condivisione, al conflitto: il ricorso alla forza, all'imposizione, è l'extrema ratio. Anche Mandela nei diari spiega che quando c'erano conflitti nel suo villaggio Xhosa, i capi ascoltavano le lamentele di tutti per giorni, finché non si giungeva a un consenso. Divenuto la guida del l'African National Congress, si ispirò a tale tradizione» spiega. Poi aggiunge: «Penso che la storia delle relazioni tra l'Africa nera e l'Europa coloniale rispecchi bene questo diverso modo di pensare, la propensione dell'Europa dell'epoca di uscire dal suo territorio per imporre la propria legge, che è sempre stata sospettosa dell'equità. Ma il mondo in cui il più povero è sfruttato dal più ricco è finito ormai – afferma con notevole ottimismo –. Bisogna che i Paesi imparino a intrattenere relazioni più giuste e più egualitarie. L'Africa, che è la riserva di risorse energetiche, minerali, forestali, ambientali per il mondo futuro non deve rifiutare di dividerle, ma lo scambio non va fatto secondo la legge del più forte, ma secondo benefici mutuali, un po' come avveniva nella società tradizionale, che era solidale, che dava a ciascuno una parte della prosperità generale, in armonia con i suoi bisogni fondamentali. Nello sviluppo capitalistico di oggi è l'individuo, più che la comunità, che possiede. Nell'era precoloniale le famiglie avevano solo il diritto di coltivare le terre, che erano della collettività, il lavoro più duro era fatto in gruppo e il risultato della raccolta era diviso fra tutti. Non si privavano le persone a beneficio di altre. C'era allora una forma di socialismo africano che, a differenza del comunismo, rispettava l'individuo». Quando gli si chiede che ne è stato delle antiche usanze, risponde che «sfortunatamente, spesso le élites contemporanee alla guida dei Paesi africani non ascoltano la lezione del passato, ma imitano il capitalismo o il comunismo appreso dall'Occidente».

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi