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Passo dello Stelvio: il regno del Campionissimo, Fausto Coppi

Sedicesima tappa, Ponte di Legno-Val Martello: 139 chilometri che attraversano il regno delle aquile; 130 chilometri di salite al confini del possibile e di discese sul limite del precipizio. Una tappa che, prima di concludersi ai 2.059 metri di Val Martello, salirà ai 2.652 metri del Passo del Gavia e ai 2.758 del Passo dello Stelvio. Il punto più alto del Giro. Il campione di oggi, o meglio «il Campionissimo» come era stato soprannominato, non poteva che essere lui: Fausto Coppi.

Nell'infinita discussione su chi sia stato il miglior corridore di tutti i tempi la definizione più azzeccata è stata probabilmente quella del patron del Tour de France, Jaques Goddet: «Coppi è stato il più grande, Merckx il più forte». Nato a Castellania nel 1919, Coppi ha sbattuto la faccia contro il muro della seconda guerra mondiale: al Giro del 1940 si presenta giovanissimo con il compito di aiutare il suo capitano, il grande Gino Bartali. Ma in quel Giro "Ginettaccio" cade ed esce di classifica, Coppi ha il via libera per giocarsi le sue carte. Attacca sull'Abetone, prende la Maglia Rosa e la porta fino a Milano. È l'ultimo Giro d'Italia, che a causa della guerra ripartirà solo nel 1946.

Coppi fa appena in tempo a battere il record dell'ora nel 1942, sulla magica pista del Vigorelli di Milano: corre mentre tutti tendono l'orecchio per sentire il suono delle sirene che annunciano i bombardamenti. Al ritmo di 103 pedalate al minuto fa segnare una media di 45,798. Poco dopo parte per l'Africa, fante nella Divisione Ravenna.

Riprende l'attività alla fine del 1945, ma è solo l'anno successivo che il ciclismo ritorna a pieno ritmo sulle strade di tutta Europa. Coppi ricomincia da dove aveva smesso. Vince la Milano-Sanremo, staccando tutti a 150 chilometri dal traguardo: in attesa del secondo, arrivato dopo 14 minuti, la radio trasmette musica da ballo. Poi tre tappe nel Giro vinto dal vecchio Gino Bartali, il rivale di una vita, il Gran Premio delle Nazioni a cronometro, il Giro di Lombardia. È solo un antipasto di quello che accadrà a partire dal 1947: nel suo palmares finiranno altri quattro Giri d'Italia e due Tour de France, nel 1949 e nel 1952 con la "doppietta" nello stesso anno. Vince il campionato del Mondo a Lugano, nel 1953, altre due Sanremo , altri quattro Lombardia, la Freccia Vallone. Per due volte è campione del mondo di inseguimento su pista. Quanto avrebbe vinto, senza la guerra? Quanti Giri e quanti Tour mancano all'appello? Sarebbe stato anche il più forte, oltre che il più grande?

La sua vittoria più celebrata è quella del Giro d'Italia del 1949, con la tappa Cuneo-Pinerolo. Una fuga che dura 192 chilometri, scalando d'un fiato Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere, un'impresa rimasta nella leggenda di questo sport. Bartali arriva a Pinerolo, in seconda posizione, con quasi 12 minuti di ritardo. È in questa tappa che Mario Ferretti inizia la radiocronaca dicendo: «Un uomo solo è al comando. La sua maglia è biancoceleste. Il suo nome è Fausto Coppi». Insieme al campionissimo, anche questa frase entrerà nella storia.

L'Airone, lo chiamavano, perché quando partiva in salita sembrava spiegasse le ali: tanto era sgraziato mentre camminava, tanto diventava elegante quando saliva in bicicletta. E l'Airone avrebbe compiuto la sua ultima impresa al Giro del 1953: alla vigilia della tappa dello Stelvio i giochi sembrano ormai fatti. Lo svizzero Hugo Koblet indossa la Maglia Rosa, ha quasi due minuti di vantaggio su Coppi che ha provato inutilmente a staccarlo nei giorni precedenti. Koblet ha sempre risposto, da vero campione. Ma quella mattina, penultimo giorno del Giro, arriva alla partenza con gli occhiali scuri. Per Coppi, il segnale della stanchezza. Sulle prime rampe dello Stelvio restano in cinque: Coppi, Koblet, Bartali, Fornara e Defilippis. Ma quando l'Airone apre le ali non c'è più nulla da fare: sullo Stelvio passa con due minuti di vantaggio su Fornara, tre su Bartali, quattro abbondanti su Koblet. Arriva a Bormio con tre minuti e mezzo sul campione svizzero, nonostante una caduta in discesa. Il quinto Giro d'Italia è suo.

Vincerà ancora, Fausto Coppi, ma ormai è nella fase discendente della carriera. Come spesso accade ai campioni fatica a staccarsi dal suo mondo, da quello che è stato per anni il suo regno. A quarant'anni, nel 1959, approda alla squadra appena costituita da Gino Bartali. Tanti anni di rivalità hanno cementato un'amicizia di cui si scopriranno i contorni solo dopo molto tempo. Coppi parte per una corsa nell'Alto Volta:oltre alla bici ci sarà tempo per una battuta di caccia, la sua grande passione. Con lui ci sono anche Geminiani e Anquetil. Quando torna in Italia viene colpito da un fortissimo attacco febbrile: influenza, sentenzieranno all'ospedale di Tortona. E via con gli antibiotici, che contro la malaria non servono a nulla. Sapendo che Coppi sta male il fratello di Geminiani, a sua volta colpito dalla malaria, telefona in Italia: spiega che per curare il campionissimo basta il chinino. I medici non ne vogliono sapere, non cambiano terapia. Cosa ne sanno i francesi del Campionissimo, cosa capisce di medicina il fratello di Geminiani?

L'Airone chiude per sempre le ali il 2 gennaio del 1960. Non gli sono stati fatali i dirupi delle grandi montagne, ma l'ignoranza e la superbia umana. Come ha detto Jacques Goddet è stato il più grande. Oggi il Giro passa dallo Stelvio, da casa sua. Perché in mezzo alle aquile, il re è sempre stato l'Airone.

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