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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2014 alle ore 10:52.
L'ultima modifica è del 25 maggio 2014 alle ore 20:15.

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Andrej Mironov e Andy RocchelliAndrej Mironov e Andy Rocchelli

Sabato sera, di colpo, la paura che la violenza si abbattesse sulle elezioni presidenziali di oggi in Ucraina si è materializzata in poche righe trasmesse dalle agenzie di stampa russe. Nel villaggio di Andreevka, vicino a Slaviansk - la roccaforte dei ribelli filorussi dell'Est - un giornalista italiano e il suo interprete sarebbero rimasti uccisi. La notizia della morte di Andy Rocchelli, 30 anni, fondatore del collettivo fotografico Cesura.it, è stata confermata questa mattina dalla Farnesina. Con lui è scomparso il suo interprete russo, Andrej Mironov. Non solo un interprete: Mironov, condannato al Gulag nel 1985, era un ex dissidente e attivista per i diritti umani, membro di Memorial, l'organizzazione nata per documentare le repressioni politiche dei tempi dell'Urss.

Le autorità ucraine, scrive una nota del ministero degli Esteri italiano, hanno informato la Farnesina dell'uccisione del fotoreporter e di Mironov. La famiglia di Rocchelli è assistita dall'Ambasciata d'Italia a Kiev: "All'accertamento definitivo - scrive la Farnesina - manca il riconoscimento della salma, trasferita dall'ospedale di Andreevka a quello di Slaviansk, distante pochi chilometri". Era stato un fotografo rimasto ferito, il francese William Roguelon della Wostok Press, a offrire qualche dettaglio attraverso la France Presse. A sud di Slaviansk, avrebbe detto Roguelon all'agenzia francese, i giornalisti, scesi dall'auto, sarebbero finiti sotto il fuoco incrociato di kalashnikov e mortai. Il colpo di mortaio che avrebbe ucciso Rocchelli e Mironov sarebbe venuto dalla parte ucraina, poiché il gruppo si trovava dietro le linee ribelli. Ma, come ha precisato la Farnesina, non ci sono ancora elementi per precisare il tipo di arma e il modo in cui Andy e Andrej sono morti. "L'uccisione di un operatore dell'informazione nello svolgimento dei suoi compiti - scrive il Quirinale in un comunicato del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - richiama a tutti la tragedia che insanguina un Paese a noi vicino anche in questi giorni così importanti per l'Europa".

Sabato sera l'Osce, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa incaricata di monitorare le presidenziali di oggi in Ucraina, aveva fatto sapere di aver ritirato i propri osservatori dall'area di Donetsk, a causa dell'«atmosfera di terrore» creata dai separatisti sul voto. Diversi funzionari dell'organizzazione internazionale, ha spiegato una fonte, avrebbero inviato «sms terrorizzati» sull'atmosfera di intimidazione che regna nell'area.
Man mano che scorrono le ore di questa giornata cruciale per l'Ucraina, le notizie che vengono dall'Est confermano le preoccupazioni dell'Osce. Nella città di Donetsk i separatisti non hanno consentito l'apertura di alcun seggio, e si sono fatti riprendere mentre, a volto coperto, distruggono le urne a bastonate oppure le usano come bidoni per le immondizie. Quelle stesse urne che proprio loro avevano utilizzato l'11 maggio scorso, per il referendum sulla secessione, appiccicando il loro tricolore di autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk sopra lo stemma giallo e azzurro dell'Ucraina. Nell'intera regione di Donetsk - alle 9.30 del mattino - erano attivi soltanto 426 seggi su 2.432, nella regione di Luhansk 400 su 1.476. Considerando Donetsk, Luhansk e la Crimea, il voto ucraino di oggi si volge senza che il 15% degli elettori registrati siano in grado di partecipare.

Ma questa dovrebbe essere la giornata della svolta per l'Ucraina. In una campagna elettorale silenziosa, senza comizi e senza entusiasmi, i programmi e i volti dei candidati sono rimasti in secondo piano, rispetto all'emergenza. Quello di oggi dovrebbe essere il giorno del volto nuovo di Pëtr Poroshenko, apparso sulla scena all'improvviso, un presidente destinato a non avere neppure un minuto per festeggiare: pochi leader neoeletti si sono trovati sulle spalle un carico gravoso come quello che gli toccherà oggi. Oppure il 15 giugno: una delle due grandi incognite delle elezioni presidenziali ucraine non riguarda il nome del vincitore - ampiamente primo in tutti i sondaggi, lontana al secondo posto Yulia Tymoshenko - ma la sua capacità di superare la soglia del 50% dei voti già al primo turno. Paradossalmente, le sue probabilità crescono quanto più bassa sarà l'affluenza all'Est, le regioni più ostili a Kiev. Le regioni di cui invece ci sarebbe bisogno per dimostrare che quello di oggi è un voto legittimo di tutto il Paese. Da cui ripartire per salvare l'Ucraina.
Su Poroshenko, quasi sconosciuto all'estero fino a pochi mesi fa, miliardario che - a differenza degli altri oligarchi - ha costruito da solo un impero centrato su Roshen, la sua "fabbrica del cioccolato" - si appuntano aspettative altissime. Gli hanno chiesto quale sarà il primo luogo in cui intende recarsi, in caso di vittoria. «Donetsk» ha risposto, naturalmente. La crociata per la riunificazione del Paese deve cominciare da lì. «Voglio assicurare i nostri concittadini che non saranno in grado di votare a causa della guerra - ha detto in tv il primo ministro Arseniy Yatsenyuk - che i criminali non terrorizzeranno la loro terra ancora a lungo».

Una promessa che non sarà Yatsenyuk a dover mantenere, ma Poroshenko. Ma lui stesso di affermazioni impegnative ne ha pronunciate tante, in questa breve e strana campagna elettorale plasmata dall'emergenza - i morti del Maidan, la perdita della Crimea, la rivolta dell'Est. «Nessuna trattativa con separatisti e terroristi - dice Poroshenko illustrando il proprio programma -. Quelli non capiscono la lingua ucraina. Non capiscono la lingua russa. Capiscono solo il linguaggio della forza». Più sfumata la posizione del pragmatico Poroshenko verso Mosca. Se la maggior parte dei consensi si sono convogliati su di lui - dall'estero e tra gli altri oligarchi di Ucraina - una delle ragioni del resto è il fatto che Poroshenko non è un radicale, anche nei modi non ha l'aggressività ormai usurata della Tymoshenko, e sa navigare con l'esperienza di un imprenditore che si è fatto da sé e che nello stesso tempo ha frequentato la politica con diversi governi, ministro sia della Tymoshenko che di Yanukovich. «Siamo pronti a qualunque compromesso con la Federazione russa - chiarisce Poroshenko nel suo programma elettorale - a condizione che cessi l'aggressione nell'Est dell'Ucraina».

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