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Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2014 alle ore 12:34.
L'ultima modifica è del 27 maggio 2014 alle ore 09:46.

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La sconfitta l'aveva messa in conto. Ma non con queste proporzioni. Non basta limitarsi a leggere il dato, quel 16,8% a cui è rimasta inchiodata Fi, per comprendere la disfatta di questa campagna elettorale. Il risultato di Fi va incrociato anzitutto cone quel quasi 41% del Pd e con il 4,4 del Ncd. Anche sommando il risultato di Fi con quello del partito di Alfano, e il 3,7% di FdI della Meloni, ricostruendo così artificiosamente il vecchio Pdl , l'asticella si fermerebbe ben sotto il 30%, a oltre dieci punti da Matteo Renzi.

Certo, come ha detto la portavoce azzurra Debora Bergamini, un partito che non può candidare il suo leader e padre fondatore parte con un handicap significativo. E' una risposta corretta ma non sufficiente a spiegare quanto avvenuto e quanto lo stesso Berlusconi non aveva neppure preso in considerazione: la vittoria schiacciante del Pd contemporaneamente al ridimensionamento di Grillo. Berlusconi sapeva che la soglia del 20% difficilmente sarebbe stata raggiunta da Fi, ma si attendeva anche un Pd inchiodato attorno al 30% tallonato dal M5s. Il Cavaliere insomma puntava, se non su una riedizione delle larghe intese, su un Renzi indebolito e costretto a scendere a patti nuovamente con lui per rimanere in sella a Palazzo Chigi. A partire dalla trattativa sulle riforme ma non solo.

Con il pragmatismo che lo caratterizza da sempre, aveva dato già per acquisito il ridimensionamento e aveva investito in prospettiva su una Fi ago della bilancia per la salvezza di Renzi e, perché no della stessa Europa. Non a caso il leader azzurro negli ultimi dieci giorni di campagna elettorale aveva risposto con voluta vaghezza a chi gli prospettava scenari di possibili alleanze con il partito del premier, ricordando contemporaneamente che il Ppe a Strasburgo, se vuole mantenere la sua maggioranza rispetto ai socialdemocratici e quindi decidere la guida della Commissione, non avrebbe potuto fare a meno dei voti dei deputati di Fi. Invece non è andata così. Renzi è fortissimo, Grillo ha perso, Alfano è entrato a Strasburgo (sia pure per il rotto della cuffia) e Berlusconi è destinato a rimanere alla finestra o, tutt'al più a dare una mano al premier senza aspettarsi ringraziamenti. Renzi da oggi ha davvero lo scettro del comando, come e forse più del Berlusconi dei tempi d'oro, visto che non ha neppure un Fini da tenere a bada.

La mancata investitura, che sia il Cavaliere che Grillo gli avevano contestato, è un argomento ormai inesistente, anzi controproducente vista la marcia trionfale del segretario democratico. C'è da chiedersi, se Berlusconi, potendo tornare indietro, avrebbe ugualmente dedicato le ultime settimana di questa campagna al "pericolo Grillo". Come al solito il messaggio del Cavaliere è arrivato forte e chiaro al suo elettorato; solo che una parte significativa lo ha tradotto con: allora votiamo Renzi.

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