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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2014 alle ore 20:38.

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Sara MarcozziSara Marcozzi

Una sola donna su 31 consiglieri. È il risultato che rischia di uscire dal voto regionale abruzzese di domenica scorsa. Gli eletti non sono ancora stati proclamati ufficialmente, ma al momento l'unica rappresentante femminile sicura di farcela è Sara Marcozzi, candidata presidente 5 Stelle. Lei parla di «problema culturale» e di pacchetti di voti in mano ai maschi che occupano da tempo la scena politica, ma dice no alle quote rosa. L'ex consigliera Daniela Santroni, che in questi anni si è impegnata nel movimento «Se Non Ora Quando», critica la legge elettorale approvata nel 2013, che ha abolito il listino bloccato senza introdurre la doppia preferenza di genere.

Elettori maschilisti?
Nel Consiglio uscente le donne occupavano quattro posti su 44. La riforma del sistema di voto ha ridotto i componenti dell'assemblea, stabilendo che nelle liste ogni sesso non può superare il 60%. Manco a dirlo, la percentuale maggiore è andata agli uomini. «Gli altri partiti hanno scelto chi dava più garanzie in termini di caccia alle preferenze – dice Sara Marcozzi. – I maschi avevano a disposizione pacchetti superiori alle femmine. Il centrosinistra che ha vinto le elezioni, per esempio, ha applicato una ripartizione un po' clientelare. Ha puntato su politici di lungo corso, che potevano portare un bel numero di voti». Voi come avete selezionato gli aspiranti consiglieri? «In modo assolutamente democratico. I nomi sono usciti dai meetup o gruppi territoriali, con voti online o per alzata di mano. Poi la lista è stata comunicata allo staff di Grillo, che ha scritto ai candidati per chiedere chi era disposto a correre per la presidenza. Cinque o sei di noi hanno detto sì, e sul web i cittadini hanno scelto me».

In tutte le liste, comunque, c'era almeno il 40% di donne, che erano maggioranza tra gli elettori chiamati alle urne: 618mila contro 590mila uomini. Ognuno (e ognuna) di loro poteva indicare una preferenza. Perché pochi hanno optato per una rappresentante femminile? «C'è un problema culturale. È una cosa triste, da combattere a livello di educazione dei cittadini. La questione è nazionale, come dimostra il fatto che in questo Paese deve esistere una legge contro il femminicidio». Marcozzi si occupa di pari opportunità come avvocato: fa parte della commissione dedicata dell'Ordine di Chieti.
Perché le quote rosa non le piacciono? «Mi rifiuto di essere selezionata solo perché donna. Lo trovo avvilente: non serve una legge che ci preservi come una specie in via di estinzione. Forse sono anche le donne a doversi un po' svegliare». In che senso? «Pensi a Laura Boldrini. Ogni volta che viene contestata, la presidente della Camera la butta sul sessismo. Bisogna scrollarsi di dosso un senso di inferiorità atavico, rivendicare le proprie capacità e pretendere una parità reale, non chiedere di entrare in un'amministrazione perché si è di sesso femminile. Purtroppo dobbiamo lottare più degli uomini, perché per noi è più difficile ottenere le stesse cose».

Preferenze di genere "a tempo"
Se Non Ora Quando è il movimento che finì al centro della scena mediatica nel febbraio 2011, in pieno scandalo Ruby, con manifestazioni in tutta Italia in difesa dei diritti delle donne. Tra le attiviste abruzzesi c'è Daniela Santroni, oggi responsabile Enti Locali di Sinistra, ecologia e libertà, che ha corso alle comunali di domenica per il Consiglio di Pescara. «Il disastro della rappresentanza femminile in Regione – dice - è dovuto all'assenza della doppia preferenza di genere, che andava inserita quando si è abolito il listino bloccato. Io ero in quello eletto due giunte fa, e con me c'erano altre tre donne. Va detto che l'assemblea abruzzese è sempre stata una di quelle col maggior numero di uomini».

Lo statuto regionale prevede che siano nominati sei assessori, e che cinque debbano essere consiglieri eletti. Saranno tutti maschi, dato che Marcozzi è all'opposizione? «È ancora possibile che entri una candidata Pd, Marinella Sclocco. In quel caso penso che sarà nella squadra di governo. Se non succederà, sono quasi sicura che il presidente affiderà l'assessorato ‘esterno' a una donna». Santroni difende il modo in cui sono stati selezionati i candidati del centrosinistra, di cui Sel fa parte. «Dentro le formazioni politiche ci sono discussioni legittime sulle persone più adatte da presentare. L'importante è che le scelte siano assembleari, democratiche, e che nessuno imponga di mettere in lista Tizio o Caio. Va bene anche il metodo dei 5 Stelle, che lavorano molto su internet». Ed è vero, ammette la candidata vendoliana, che i partiti non hanno sempre dato buona prova di sé.

Fatto il danno (una consigliera su 31), come si rimedia? «Spero che la legge elettorale sia modificata con la doppia preferenza di genere, e che si intervenga anche sul punto degli assessori esterni. Va cambiato lo statuto regionale, per far sì che le nomine siano paritarie: per esempio penso ai dirigenti di Asl e enti pubblici di vario livello». Marcozzi potrebbe accusarla di volere le riserve indiane. «Non è così. Il punto è che i nostri meriti, le nostre competenze, non emergono perché gli uomini hanno sistemi di relazioni meno accessibili alle donne. Il problema non si risolve senza un lungo periodo di riequilibrio, con norme come la doppia preferenza, che potremo cancellare quando la disparità sarà svanita. Oggi i pacchetti di voti sono in mano ai maschi, che hanno pure più soldi per le campagne elettorali. È vero che va fatto anche un lavoro culturale, ma non basta». Ogni tanto, dice Santroni, servono delle forzature. «Quando le strade della mia città sono state chiuse alle auto, molti si sono lamentati. Ora tutti vanno in bici». Una metafora efficace.

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