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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2014 alle ore 21:16.
L'ultima modifica è del 05 giugno 2014 alle ore 10:30.

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Mai nelle aree a rischio di terremoti, ma anche di instabilità geologica o di qualche smottamento se piove forte. E guai ad avvicinarsi alle grandi falde acquifere, o a «risorse naturali già sfruttate o di prevedibile sfruttamento». In ogni caso bisognerà mantenersi lontano dei fiumi e ancor più dalle dighe o da "sbarramenti idraulici artificiali", ad almeno 10 chilometri dalle coste marine, ad "adeguata distanza" dai centri abitati, lontani almeno 1 km dalle autostrade, dalle principali strade extraurbane, dalle ferrovie.

Niente da fare al di sopra dei settecento metri di altezza, o dove esistono «versanti con pendenza media maggiore del 10%». Da escludere anche le aree dove gli animali o le vegetazioni abbiamo una qualche forma di particolare protezione. E comunque andrà attentamente valutata, per ponderare l'eventuale idoneità, anche la vicinanza «all'insediamento di produzioni agricole di particolare qualità è tipicità», o anche ai «luoghi di interesse archeologico e storico».

Ecco, ancora riservati, i criteri vincolanti per tentare di assolvere a una missione decisamente ardua: piazzare nel nostro paese quel deposito nazionale unico delle scorie nucleari. Lo dobbiamo comunque realizzare per mettere al sicuro i detriti ricavati dallo smontaggio delle nostre vecchie centrali atomiche chiuse con il referendum del 1987, ma anche la non trascurabile quantità di rifiuti radioattivi che continuiamo a produrre con l'attività industriale o medica. Ci abbiamo provato più di una volta negli ultimi 25 anni. Con fallimenti a catena. Alcuni clamorosi, come quello prodotto dalla sommossa a furor di popolo che 11 anni fa ha costretto l'allora governo Berlusconi a rimangiarsi il decreto che individuava, con il corredo di dotti pareri scientifici, la soluzione del deposito geologico salino di Scanzano Jonico.

Nel frattempo si è cambiato cavallo, anzi cavalli. Niente più deposito sotterraneo ma un deposito-bunker di superficie. Niente più decreti frutto del solo lavoro degli scienziati: ci sarà un dettagliato confronto-mediazione con i territori.

A giorni il documento ufficiale
I nuovi criteri per il super-deposito, che Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare, dovrebbero essere pubblicati ufficialmente in settimana dal primo artefice dell'operazione, l'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Poi la palla passerà alla Sogin, la società pubblica nata per smontare appunto le nostre vecchie centrali, per gestirne i pericolosi detriti e appunto per realizzare il deposito nazionale unico. Ma il percorso sarà ancora lungo, lunghissimo.

Dopo il varo ufficiale dei criteri spetterà alla Sogin il compito di pubblicare sul suo sito Internet «la proposta – si legge nella relazione con la quale l'Ispra illustra i criteri - di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, del relativo ordine di idoneità delle aree identificate e del progetto preliminare, per consentire alle Regioni, agli Enti locali, nonché ai soggetti portatori di interessi qualificati, la formulazione di osservazioni e proposte tecniche nei sessanta giorni successivi alla pubblicazione». Due mesi durante i quali la Sogin dovrà organizzare un seminario nazionale di proporzioni decisamente ciclopiche. Parteciperanno «oltre ai Ministeri competenti e all'Agenzia, le Regioni, le Province ed i Comuni sul cui territorio ricadono le aree interessate dalla proposta di carta nazionale delle aree potenzialmente idonee», nonché l'Upi (province, sempre che nel frattempo non vengano davvero abolite) l'Anci (comuni), le associazioni degli industriali e le associazioni sindacali "maggiormente rappresentative" delle zone interessate, insieme alle università e agli enti di ricerca.

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