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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2014 alle ore 15:03.
L'ultima modifica è del 02 giugno 2014 alle ore 15:12.

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Sorpresa Italia: dopo otto anni di digiuno, è ritornata nel gruppo di testa delle prime 25 mete degli investimenti esteri mondiali. Sarà l'effetto Renzi, sarà l'ottimismo verso la ripresa della Zona euro. Fatto sta che l'Italia è di nuovo attraente per gli investitori. A certificarlo sono gli analisti di A.T.Kearney, che proprio oggi presentano l'edizione 2014 del loro "Foreign Direct Investment Confidence Index": nella classifica il nostro Paese è al 20esimo posto, addirittura sopra il Belgio, l'Olanda e la Danimarca.

Il dato, è bene chiarilo, non registra il numero di investimenti fatti e finiti: che, stando ai dati 2013, in Italia sono rimasti bassi, intorno ai 10 miliardi. L'indice A.T. Kearney è un indicatore di intenzioni, si basa sulla propensione degli investitori a muoversi da qui alla fine dell'anno. Il che, semmai, rende il dato ancora più interessante: significa che il sentiment verso l'Italia è cambiato, e che dopo anni di magra possiamo aspettarci un rinnovato interesse per il nostro Paese. Significa, insomma, che gli investitori che finora non sono arrivati, presto arriveranno.
Il cambiamento di giudizio verso l'Italia è piuttosto recente: le rilevazioni A.T. Kearney sono state condotte tra gennaio e febbraio di quest'anno. È l'effetto Renzi? «Diciamo che nei confronti dell'Italia si sta sviluppando un sentiment di rinnovata stabilità», ammette Luca Rossi, a capo dell'area Emea di A.T.Kearney.
A premiare il nostro Paese è anche la possibilità di fare affari interessanti. Recentemente si è aperta una stagione di investimenti esteri nel campo della moda, e anche l'interesse di Ethiad per Alitalia dimostra che nel nostro Paese c'è spazio di manovra. Chi pensa che l'Italia è in svendita, però, è fuori strada: «Non è questa l'idea che guida gli investitori esteri in questo momento – sostiene Rossi – lo dimostra il fatto che tutti i mrachi del lusso recentemente acquisiti dagli stranieri sono stati pagati il giusto prezzo, e non sottocosto».

L'Italia insomma quest'anno ha buone chance di uscire da un lungo periodo di digiuno: «Nel 2002 – ricorda Rossi – eravamo addirittura il sesto Paese della Top 25. Fu un anno speciale: la bolla della new economy doveva ancora scoppiare e un'ondata di privatizzazioni fece il resto. Da lì siamo scivolati lentamente, fino al 19esimo del 2005, e poi siamo usciti dai radar. Tutti questi anni di assenza sono da imputare al sistema economico, che non ha saputo riformarsi, e al sistema bancario, che ha chiuso i rubinetti».
Il ritorno dell'Italia in classifica è anche merito dell'onda lunga che in generale sta premiando tutti i Paesi sviluppati, a discapito di quelli emergenti: «L'indice 2014 registra un momento positivo per tutti i Paesi europei, verso i quali la fiducia degli investitori è salita nel suo complesso. Diverso è il caso di alcuni emergenti, che pagano il prezzo di una crisi di stabilità». Come la Russia - per via dell'Ucraina - la Thailandia o la Turchia.
Guadagna una posizione la Germania, oggi al sesto posto, e anche la Francia sale, rispetto al 2013, al decismo posto, anche se le rilevazioni A.T. Kearney non tengono conto del successo dei nazionalisti di Marine Le Pen alle Europee della settimana scorsa: fossero fatte oggi le interviste, forse Parigi avrebbe perduto un po' del suo allure. Al pari dell'Italia, ritornano nella classifica 2014 anche Belgio, Olanda e Danimarca. Mentre la Spagna, che pur perde due posizioni rispetto al 2013, è comunque più avanti di noi: l'ennesima conferma che le riforme economiche di Madrid hanno saputo incidere in profondità e hanno saputo ribaltare l'immagine del Paese da rischio default a realtà attraente per le imprese.
Italia in recupero, si è detto. Un insperato ritorno fra i grandi. Ma cosa ancora ci rende lontani dai successi dei competitor di sempre? Dell'incidenza delle riforme spagnole si è detto. Ma rispetto a Francia e Germania? «Credo che siano le caratteristiche genetiche del nostro tessuto produttivo, a fare la differenza – sostiene Luca Rossi – contrariamente alla Germania e alla Francia, l'Italia è fatta per la stragande maggioranza di Pmi, e queste attireranno sempre meno investimenti esteri. È una questione dimensionale. Prendiamo il 2007: fu un annus mirabilis per il nostro Paese, che si aggiudicò ben 44 miliardi di dollari in capitali esteri. Eppure nemmeno questo record bastò a farci entrare nella classifica dei migliori 25».

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