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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2014 alle ore 06:37.

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ROMA
Ha appena ascoltato i numeri del Centro studi, che hanno dato la misura dell'arretramento dell'Italia. Per pronunciare un'immediata considerazione: «Da questo bilancio negativo traggo ancora più forte la convinzione di rivolgere tutti i nostri sforzi al rilancio del manifatturiero», senza il quale «non ci può essere crescita. E senza crescita è impossibile generare lavoro». Per Giorgio Squinzi il paese ce la può fare: «Ce la dobbiamo fare, ce la faremo», ha detto concludendo il seminario del Centro studi dedicato agli scenari industriali. «Questo bollettino di guerra non significa che la nostra industria e i nostri imprenditori siano immobili e rassegnati. Tutt'altro. Danno grandi segni di insospettata vitalità». Ed ha continuato: «Non siamo vittime di un destino crudele e ineluttabile. Occorre un cambio di mentalità, una svolta chiara e decisa. E mi pare che si stanno creando le condizioni per tale svolta».
L'obiettivo è crescere in modo stabile e per fare questo, ha sottolineato Squinzi, occorre che «all'industria sia assegnato il ruolo centrale che le compete» e vengano avviate «in modo strutturale e con convinzione» le misure di politica industriale che i nostri concorrenti hanno già adottato. Bisogna rilanciare gli investimenti e Squinzi ha annunciato che Confindustria sta preparando un'Agenda per il credito, i cui dettagli saranno messi a punto nei prossimi giorni, per potenziare gli strumenti di finanziamento delle imprese.
Qualcosa si sta muovendo: «Mi ha fatto molto piacere che il presidente del Consiglio in più di un'uscita pubblica abbia sottolineato l'importanza dell'industria per la nostra economia», ha detto il presidente di Confindustria. «Gli annunci fatti da Federica Guidi alla nostra assemblea - ha continuato - mi hanno rassicurato, affermando un giusto approccio, da tanto tempo chiesto da Confindustria. Un approccio pro-industria e pro-impresa, indispensabile per assecondare il rinnovamento in corso nel nostro tessuto imprenditoriale».
Al centro di tutto, l'occupazione: «Il lavoro deve essere la nostra priorità assoluta». Su questo argomento si è soffermato anche il vice presidente per il Centro studi, Carlo Pesenti: «Manifattura vuol dire lavoro, è uno dei più grandi problemi. E il lavoro deve essere un dovere: abbiamo il dovere di crearlo per rispetto delle generazioni passate, che hanno costruito l'Italia, ma soprattutto per garantire un futuro alle nuove generazioni. Il tasso di disoccupazione è inaccettabile».
La mappa delle perdite di posti di lavoro e unità produttive che emerge dal Rapporto del Csc per Squinzi «è pesante, ma assoltuamente realistica». Ecco perché serve una nuova politica industriale «senza preconcetti, che non sceglie chi deve fare cosa, ma individua le traiettorie dello sviluppo. È un grande impegno cui verremo chiamati nei prossimi mesi» e di cui dovrebbe farsi carico il semestre di presidenza italiana della Ue. In Italia, ha aggiunto, chi fa impresa è spesso trattato come un nemico della legge, «il sabotaggio dell'industria e della crescita economica appare sistematico». Le imprese sono comunque pronte a fare la propria parte, «a farla ancora di più e meglio». Squinzi è tornato sulla necessità di investire di più, sottolineando che non è facile con la redditività aziendale «ridotta al lumicino», come dimostrano i dati del rapporto. Serve un cambio di mentalità che per il presidente di Confindustria deve riguardare anche la finanza se «come ha detto il Governatore di Bankitalia non ci possono essere investimenti senza credito».

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