Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 16:01.

My24

Quando, nel 2009, l'allora ministro iracheno del petrolio, Hussain al-Shahristani, indisse due storici round di gare per l'esplorazione e il potenziamento dei giacimenti petroliferi, le compagnie energetiche cinesi fecero incetta di contratti. Era la prima volta dal 1972, quando il Governo di Baghdad diede il via alla nazionalizzazione dell'industria petrolifera, che l'Iraq apriva al mondo il suo tesoro petrolifero. A oggi, solo Petrochina è presente in quattro grandi giacimenti, anche nel campo di Rumaila, il più grande del Paese, con una quota del 37%.
La Cina non aveva certo guardato con favore alla campagna americana per rovesciare Saddam Huissein. Eppure, senza inviare un solo soldato, è divenuta oggi il maggiore operatore petrolifero straniero. L'Iraq è oggi il quinto fornitore energetico di Pechino (nel 2013 le importazioni dall'Iraq sono cresciute del 50%). A fine 2013 Petrochina ha firmato un accordo con l'americana Exxon Mobil, ai ferri corti con il Governo di Baghdad a causa dei suoi contratti nel Kurdistan iracheno, per acquistare una quota del 25% nel giacimento gigante di West Qurna 1.
Pechino si è sempre contraddistinta per la sua discrezione e per la sua non interferenza negli affari interni dei suoi partner commerciali. Ma questa volta ha fatto sentire la sua voce. «La Cina sta prestando molta attenzione alla recente situazione della sicurezza in Iraq» ha affermato la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying «Per molto tempo - ha aggiunto - la Cina ha fornito all'Iraq ogni sorta di aiuto ed è pronta a dare qualsiasi aiuto possibile».
Per ora l'industria petrolifera irachena non sembra correre rischi. Una settimana fa, ai margini del vertice Opec di Vienna, il ministro iracheno del petrolio, Abdul Kareem Luaibi, ha usato toni rassicuranti. «Tutte le nostre esportazioni sono ora effettuate dal terminale di Bassora, nel sud. Si tratta di un'area estremamente sicura». Luaibi si riferiva anche all'oleodotto Kirkuk-Ceyhan, che collega il nord del Paese alle coste della Turchia. Una pipeline da anni martoriata dagli attentati e chiusa da marzo. Per quanto nel l'Iraq settentrionale il sottosuolo custodisca riserve enormi, il 90% della produzione nazionale irachena - e dell'export - arriva dalle regioni meridionali, un territorio a grande maggioranza sciita controllato capillarmente dal Governo di Baghdad. Le recenti conquiste degli estremisti dell'Isis non hanno cambiato la situazione. Se il prezzo del barile non ha accusato quel balzo verticale che molti temevano, la spiegazione è la stessa. Vedere i ribelli sunniti nei pozzi del sud è un'ipotesi, per ora, molto remota. Le major guardano tuttavia con preoccupazione all'evolversi degli avvenimenti e alla stabilità del governo di Baghdad. L'incontenibile avanzata dell'Isis è stata una doccia fredda per il governo del premier Nouri al-Maliki.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi