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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 18:05.
Un Senato delle Autonomie di soli 100 membri. Da 315 che sono attualmente (al netto dei senatori a vita) e da 143 che erano nel Ddl del governo adottato come testo base in commissione. Il Senato dei 100: un numero semplice, anche mediaticamente d'effetto. Matteo Renzi "restringe" i senatori proprio mentre stringe sulle riforme, dopo il vertice goveno-Pd di martedì notte, e incassa pubblicamente il rinnovato sostegno al patto del Nazareno da parte di Silvio Berlusconi.
L'ex Cavaliere, che ha rilanciato sul presidenzialismo senza tuttavia farne una conditio sine qua non, ha parlato chiaro e tondo di Senato non elettivo. L'elezione dei nuovi senatori sarà dunque di secondo grado, come da sempre vuole il premier. I dettagli saranno messi a punto in un incontro nelle prossime ore tra la ministra per Riforme Maria Elena Boschi e il capogruppo azzurro in Senato Paolo Romani, ma il punto è salvo. E già nei 21 emendamenti congiunti che stanno predisponendo i relatori in commissione, Anna Finocchiaro (Pd) e Roberto Calderoli (Lega), c'è la possibile soluzione: sarebbero i consigli regionali a scegliere i nuovi senatori tra gli stessi consiglieri regionali e tra i sindaci. Modello tedesco, dunque, invece del francese che prevede un largo coinvolgimento anche dei consigli comunali. Renzi impone un Senato snello e non elettivo, dunque. Ma in cambio concede (alla Lega, a Fi e ai governatori) più peso alle Regioni rispetto ai Comuni nella composizione (una proporzione di 2/3 o addirittura di 3/4 laddove nel testo del governo era metà e metà) e il ritorno alle Regioni di qualche competenza nell'ambito del Titolo V (ad esempio in materia di turismo e beni culturali, anche se la tutela resta allo Stato).
Il rinnovato asse sulle riforme con Silvio Berlusconi non ha solo l'effetto di sbloccare il Ddl in Senato (ieri la Capigruppo, forse un po' troppo ottimisticamente, ha indicato nel 3 luglio l'approdo in Aula), ma anche quello – per Renzi fondamentale – di mettere in sicurezza l'impianto dell'Italicum. Nei contatti informali avuti in questi giorni, infatti, Berlusconi ha garantito il suo sì al meccanismo del ballottaggio nazionale tra le prime due coalizioni nonostante i dubbi espressi dopo le elezioni europee. Piuttosto si limeranno un po' le soglie: dal 38% al 40% quella per accedere al ballottaggio e soglia unica di sbarramento tra il 4 e il 5%. E con il ballottaggio è salva la governabilità e la certezza di un vincitore, che invece sono a rischio con la proposta sostanzialmente proporzionalista dei grillini. Insomma, solo l'appoggio di Fi salva il bipolarismo in un Parlamento percorso da fortissimi venti proporzionalisti. Da qui la soddisfazione espressa ieri sera con i suoi dal premier: «Siamo a un passo dalla chiusura». Quanto al presidenzialismo rilanciato dall'ex Cavaliere, è «inutile e inopportuno» infilarlo ora nella discussione. Prima si approva la riforma di Senato e Titolo V, poi si discute di presidenzialismo. O meglio di premierato, soluzione da sempre più gradita al Pd.