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Questo articolo è stato pubblicato il 21 giugno 2014 alle ore 10:55.
L'ultima modifica è del 21 giugno 2014 alle ore 18:22.

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«Coloro che nella loro vita hanno questa strada di male, i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati». Lo ha detto Papa Francesco parlando della 'ndrangheta nell'omelia della messa celebrata per 250 mila persone nella piana di Sibari, durante la sua visita pastorale in Calabria, regione messa in ginocchio dalla malavita organizzata.

Papa Francesco ha chiesto ai mafiosi di convertirsi - senza però parlare esplicitamente di scomunica come questa sera - anche lo scorso 21 marzo, in occasione del suo incontro con le vittime alla chiesa romana di San Gregorio VII. «Convertitevi c'è tempo per non finire nell'inferno, che è quello che vi aspetta se non cambiate strada», le dure parole rivolte al termine della veglia di preghiera «ai grandi assenti, ma protagonisti: uomini e donne di mafia». «Per favore cambiate vita! Convertitevi, fermate di fare il male! Noi preghiamo per voi: convertitevi ve lo chiedo in ginocchio è per il vostro bene», ha ripetuto. «Questa vita che vivete - ha continuato con voce profonda Francesco - non vi darà felicità, gioia. Potere e denaro che avete adesso da tanti affari sporchi, dai crimini mafiosi sono denaro insanguinato, potere insanguinato non potrai portarlo all'altra vita». «Avete avuto un papà e una mamma pensate a loro e convertitevi», ha continuato Bergoglio.

Con parole simili ma con un tono molto più drammatico, aveva chiesto la conversione dei mafiosi anche San Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi: «Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che é vita, via, verità e vita, lo dico - aveva detto - ai responsabili: convertitevi! Una volta, un giorno, verrà il giudizio di Dio!». «Dio ha detto una volta: non uccidere!». «Non può l'uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione? mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!», aveva detto. «Questo popolo, popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civilta contraria, civiltà della morte!», erano state ancora le parole di Wojtyla.

Papa Francesco ha incontrato stamane nel carcere di Castrovillari, in Calabria, Nicola Campolongo, il padre di Nicola jr, Cocò, il bambino di tre anni arso vivo a Cassano Jonio nel gennaio scorso insieme al nonno Giuseppe ed alla compagna di quest'ultimo, la ventisettenne marocchina Ibtissam Touss, che era con loro. Il Pontefice, dopo aver salutato uno per uno i detenuti dell'istituto penitenziario, ha voluto incontrare anche le due nonne del piccolo Cocò.

Il Santo Padre ha espresso vicinanza alla mamma del bimbo ucciso, nella speranza che episodi del genere non si ripetano più. «Mai più vittime della 'ndrangheta»: il Santo Padre ha fatto riferimento alla violenza dicendo che non deve mai succedere una cosa del genere nella società, e che ha pregato molto e sta pregando per Cocò e per tutti i bambini vittima di questa sofferenza. «Prego continuamente per lui, non disperate», è una delle frasi pronunciate dal Papa nel suo incontro con i familiari di Cocò.

Parlando ai detenuti, il Pontefice aveva detto: «Troppo spesso l'esecuzione della pena degrada a uno strumento di sola punizione e ritorsione sociale, a sua volta dannoso per l'individuo e per la società». Per il Papa é centrale «il tema del rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e l'esigenza di corrispondenti condizioni di espiazione della pena». «Questo aspetto della politica penitenziaria - ha aggiunto - é certamente essenziale e l'attenzione in proposito deve rimanere sempre alta. Ma tale prospettiva non é ancora sufficiente, se non é accompagnata e completata da un impegno concreto delle istituzioni in vista di un effettivo reinserimento nella società».

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