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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2014 alle ore 06:38.

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ROMA
«L'Italia cammina sul filo di un rasoio», avverte il Centro studi di Confindustria, che scorcia di mezzo punto percentuale le sue stime per l'anno in corso e di uno 0,2% quelle per l'anno prossimo. Nel 2014 infatti secondo le nuove previsioni presentate ieri il prodotto interno lordo non crescerà più dello 0,2% (a dicembre scorso Viale dell'Astronomia prevedeva un +0,7) e per una ripresa apprezzabile occorrerà attendere l'anno prossimo quando la performance economica sarà pari a +1% (in precedenza si prevedeva un +1,2 per cento). Il Paese, ha osservato il direttore del CsC, Luca Paolazzi, oggi si trova di fronte a un bivio tra segnali di fiducia sulla ripresa e sull'aspettativa di riforme ed il rischio di una riduzione del potenziale di sviluppo che «tende a tradursi in stagnazione». Tant'è che a sgonfiare le stime ha contribuito la falsa partenza del 2013 con un primo trimestre in cui l'attività produttiva ha avuto il segno meno davanti e una variazione acquisita per l'anno in corso pari a meno 0,2 per cento.
Il quadro «rimane fragile»: «la malattia della lenta crescita non è stata debellata e il paziente è debole e fatica a riprendersi e a reagire alle cure». Comunque, le attese «rimangono improntate ad un cauto ottimismo», che si sostanzia in un significativo rimbalzo nel trimestre che sta finendo ed in una crescita almeno doppia del potenziale nei successivi. Le previsioni però «scontano una visione più realistica delle effettive capacità di sviluppo del Paese e la chiusura di una parte dell'output gap». In buona sostanza secondo il CsC una parte di quanto è andato perduto durante la crisi non verrà recuperato. E quel che è certo è che la mole di risorse perse rispetto a prima della crisi è veramente ingente: nove punti di Pil, una caduta della produzione industriale del 23,6 per cento, le costruzioni decurtate del 43,1 per cento, i consumi delle famiglie dell'8 per cento, gli investimenti del 27,6 per cento.
Ma non basta. Ci ritroviamo con quasi 8 punti percentuali di occupazione in meno e 3 milioni di persone in più tra coloro che versano in condizioni di povertà assoluta. «Complessivamente durante la crisi un milione di persone hanno perduto il posto» di lavoro. Un numero «che quasi raddoppia in termini di Ula», il dato statistico della unità di lavoro. È questa dura eredità a determinare reazioni rallentate e incerte da parte di famiglie e imprese. Senza contare il fatto che a frenare il recupero degli investimenti contribuisce nell'analisi di Confindustria un'offerta di credito ancora scarsa (anche se il credit crunch si va attenuando nel complesso lo stock dei prestiti è sceso del 10,8 per cento negli ultimi due anni) che continua a esercitare un effetto di freno sulla ricostituzione delle scorte e in definitiva sulla ripresa. Accade così, come è stato ricordato ieri, che nonostante il fatto che da molti mesi gli indici di fiducia siano risaliti e l'indicatore anticipatore del ciclo dell'Ocse non si stanchi di segnalare, anche per il nostro paese, bel tempo in arrivo, i consumi reagiscono poco (l'unica cosa che per ora dà segni di recupero sono le immatricolazioni delle auto) e gli investimenti non ripartono. E invece è proprio dagli investimenti che occorre ripartire, segnala il CsC secondo il quale, viste le caratteristiche così esangui della ripresa italiana sostenuta di fatto solo dal buon andamento delle esportazioni, non appare necessaria né opportuna una manovra correttiva (nel quadro macroeconomico presentato ieri, peraltro, il rapporto deficit/pil è al 2,9 per cento quest'anno e all'1,8 per cento l'anno prossimo). Una chance concreta per far ripartire l'economia italiana è comunque alla nostra portata: si potrebbero usare i fondi Ue per uscire definitivamente dalla crisi e rilanciare l'economia. Serve però un cambio di passo nella capacità di spesa e di programmazione, in modo da sfruttare l'opportunità di «un veloce e robusto sostegno agli investimenti». Tra i residui del precedente ciclo di fondi europei, l'avvio di quello nuovo e i fondi nazionali di coesione, il CsC stima infatti che siano disponibili risorse pari a circa 20 miliardi di euro l'anno per il periodo 2014-2020. Se si sfruttasse adeguatamente questo volano, è stato osservato ieri, si otterrebbe un aumento della crescita di almeno mezzo punto l'anno.

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