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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2014 alle ore 07:54.
L'ultima modifica è del 07 agosto 2014 alle ore 09:42.

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Gli unici che non sorridono più sono gli studi legali. Apple e Samsung, due tra i più grandi produttori di smartphone al mondo, hanno smesso di litigare. Dopo una telenovela durata più di 3 anni le due società hanno deciso di sotterrare l'ascia di guerra in tutti quei mercati nei quali risultavano ancora aperti contenziosi legati alla cosiddetta guerra dei brevetti. Restano fuori gli Stati Uniti: «Apple e Samsung hanno deciso di chiudere tutte le controversie al di fuori degli Stati Uniti», hanno fatto sapere le due società in un comunicato congiunto. In pratica i procedimenti in corso davanti ai tribunali statunitensi non verranno toccati anche perché il mercato Usa oltre che sotto il profilo economico anche su quello ideale ha evidentemente un significato particolare. Con una mossa furbetta, a giudizio dei mercati finanziari, Apple lascia quindi aperta la strada dei tribunali proprio dove si sente più forte.
Ma l'accordo era nell'aria. C'erano già stati alcuni segnali distensivi fra i due: a giugno, ad esempio, era stato firmato un patto di non belligeranza per ciò che riguarda le violazioni di brevetti depositate presso la Us International Trade Commission (Usitc), l'agenzia federale che monitora le importazioni negli Stati Uniti. Prima ancora era stata Google, produttrice di Android, il sistema operativo della maggior parte dei telefonini di Samsung, a stringere la mano ai legali di Cupertino per la risoluzione consensuale di tutte le dispute legate al caso Motorola. Tutti segnali che indicano un cambiamento di sensibilità tra i big dell'elettronica di consumo. Una nuova consapevolezza: quella sui brevetti non è una battaglia per l'innovazione e neppure materia da avvocati. In qualche modo l'aveva ricordato durante il primo processo il giudice Lucy Koh. Di fronte a una richiesta di 75 pagine di obiezioni presentate ai legali di Apple aveva sbottato con un illuminante: «Ma vi siete fatti di crack?». La domanda, al di là dei toni, arrivava al termine di tre settimane di processo, 50 ore di dibattito in aula e la sfilata di una dozzina di testimoni. Indimenticabili le 109 pagine di istruzioni da leggere e 84 istruzioni da seguire che i giurati si sono dovuti studiare per decidere quali brevetti erano stati infranti e a danno di chi. Pagine complicate anche per un esperto di design ma dirimenti per decidere nel merito. Apple aveva accusato Samsung di avere copiato tecnologie e design dalle prime versioni del suo iPhone, mentre Samsung ha accusato Apple di avere utilizzato componenti brevettati nel suo telefono senza pagare le licenze. Entrambe le società hanno vinto e perso diverse cause. Due anni fa il tribunale federale presediuto da Lucy Koh stabilì a favore di Apple un risarcimento di circa 930 milioni di dollari. A maggio sempre Apple si è vista riconoscere 120 milioni di dollari di danni da Samsung, ritenuta colpevole di violazione di due brevetti. Allo stesso tempo, però, Apple è stata ritenuta colpevole di aver violato un brevetto Samsung. Insomma, un pasticcio. In definitiva nonostante il vantaggio di Apple nessun tribunale ha mai emesso sentenze tali da intaccare i conti e offerte commerciale. Da qui forse l'intuizione di chiudere il contenzionso. Anche perché per i due giganti che da soli si spartiscono il mercato degli smartphone i veri avversari sono diventati i margini in picchiata sui telefonini di fascia alta e la concorrenza di Huawei e Lenovo nei dispositivi low cost. Paradossalmente, ai due giganti in questo momento più che difendere l'esistente servirebbero nuovi brevetti e nuove idee. In discussione è infatti il sistema di protezione dell'innovazione. Ecco perché questo accordo rappresenta un capitolo storico non solo per i diretti interessati ma per il sistema di innovazione in generale. Chi andrebbe processato, disse in tempi non sospetti Eric Schmidt, l'allora presidente esecutivo di Google, è l'attuale sistema (ultracentenario) dei brevetti. La soluzione? Per Schmidt un'ipotesi era rendere i brevetti pubblici in modo che chiunque potesse verificare se l'invenzione era davvero originale. Avrebbe significato togliere a pochi e potentissimi laboratori che si possono permettere parcelle milionarie il monopolio del brevetto. La proposta fu accolta dal mercato come una provocazione. E tale è rimasta.

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