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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2014 alle ore 14:20.
L'ultima modifica è del 31 agosto 2014 alle ore 14:45.

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Il ministro degli esteri Renata Mogherini e il primo ministro polacco Donald Tusk. (Epa)Il ministro degli esteri Renata Mogherini e il primo ministro polacco Donald Tusk. (Epa)

Tra amputazioni russe dell'Ucraina, Siria, Libia, Iraq in fiamme e Medio Oriente senza pace. Tra recessione, disoccupati a milioni, deflazione in agguato e preoccupante emorragia di consenso popolare al progetto integrativo. Tra rischio secessione della Gran Bretagna, il prossimo quinquennio si annuncia come il più difficile della storia europea dalla fine della seconda guerra mondiale. Per affrontarlo, i 28 capi di Stato e di Governo dell'Unione hanno deciso ieri a Bruxelles, dopo lunghi negoziati, di mettere un polacco, il premier Donald Tusk, alla guida del Consiglio europeo e dell'Eurozona. Un'italiana, il ministro degli Esteri Federica Mogherini, come Alto Rappresentante per la politica estera. E un lussemburghese, l'ex premier Jean-Claude Juncker, a presiedere la Commissione Ue.

Matteo Renzi ha ottenuto un'indiscutibile vittoria diplomatica: malgrado le molte difficoltà iniziali, alla fine ha centrato il "suo" bersaglio e ci è riuscito nonostante l'Italia occupasse già con Mario Draghi la presidenza della Bce, cioè la poltrona europea più importante in quanto l'unica dichiarata, per statuto, indipendente dai desiderata dei governi.
Per la Polonia un risultato storico: a soli 10 anni dall'ingresso nella famiglia comunitaria, Varsavia ha coronato la sua carriera di partner-modello che, ha ricordato Tusk, ha saputo coniugare «la disciplina di bilancio con la crescita del Pil del 20% negli ultimi sette anni», con la conquista di due presidenze in un colpo solo: quella del Consiglio europeo dei 28 e del club dei 18 dell'Eurozona pur non facendone parte. Una novità assoluta per garantire l'unità, evitando che la divisione istituzionale tra le due Europe diventasse permanente, ha spiegato il premier polacco.

Sarà il nuovo triangolo del potere comunitario all'altezza delle emergenze a getto continuo che lo attendono al varco? Avrà la capacità di visione, coesione e di leadership necessaria e sufficiente per navigare in acque a dir poco molto insidiose? A prima vista si direbbe di no. Tusk è l'uomo che viene dall'Est e che per ora parla correntemente soltanto russo e tedesco, non esattamente le lingue ideali per mediare tra opposti interessi e diffidenze intraeuropee. Però ha assicurato che per dicembre colmerà la lacuna e sarà in grado di parlare inglese, la lingua franca prevalente nei negoziati Ue.

La Mogherini ha sottolineato, e a ragione, il valore aggiunto che può derivare dal ricambio generazionale ma la sua relativa inesperienza e limitata rete di contatti internazionali fanno temere a molti che, in una congiuntura difficile e per di più con una politica estera comune tutta da inventare e governata dal voto all'unanimità, non sia il regista che potrà far dimenticare la povera performance quinquennale di Lady Ashton. In realtà proprio la scarsa statura del suo predecessore potrebbe rappresentare il suo asso nella manica. In ogni caso la Mogherini lavorerà in tandem con Tusk, altra novità di ieri, soprattutto nella gestione dei rapporti con la Russia di Putin e il fronte orientale.
Juncker è un uomo del passato, un vecchio leone dell'europeismo che non c'è più, quello sinceramente solidale, figlio di uno spirito di famiglia perso per strada. Non a caso il lussemburghese era in perfetta sintonia con Helmut Kohl, molto meno con Angela Merkel. Il cui "enfant gaté" è piuttosto Donald Tusk.

La ragione di scelte deboli, che non si discostano molto da quelle fatte per guidare le istituzioni Ue nel quinquennio che sta per terminare, è purtroppo sempre la stessa: ormai i governi, che siano dell'Unione o dell'Eurozona non cambia, preferiscono concordare tra loro le politiche europee, usando Commissione e Consiglio per avallarle legalmente. Solo l'Europarlamento finora ha provato a resistere, anche se non sempre con successo. Dunque, salvo clamorose smentite, il rischio anche questa volta è che cambino gli uomini al timone delle istituzioni Ue ma che il corso della politica europea resti sempre lo stesso: deludente, inadeguato, quando non fallimentare.

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