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Giubileo, una porta aperta per entrare in rapporto con il divino

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l’apertura dell’anno santo

Giubileo, una porta aperta per entrare in rapporto con il divino

(Ansa)
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Il rito con il quale papa Francesco apre la porta santa per il giubileo straordinario della misericordia nelle sue linee essenziali non differisce da quello tradizionale e bellissimo preparato dal cerimoniere alsaziano di Alessandro VI, il Burcardo. L'idea della porta – che segna l'inizio e la fine del periodo giubilare e al tempo stesso rappresenta simbolicamente la possibilità di accedere al paradiso per i peccatori che si pentono e chiedono perdono – venne a papa Borgia ascoltando le voci popolari, che favoleggiavano appunto di una piccola porta che portava direttamente al paradiso nascosta in San Pietro. Con questa innovazione il pontefice completò, molto più tardi, la grande invenzione dell'anno santo di Bonifacio VIII, anch'egli capace di cogliere l'attesa, molto diffusa, di una grande perdonanza per l'inizio del secolo.

Dobbiamo dunque l'invenzione del giubileo e della porta santa ai due papi forse più discussi nella storia della Chiesa, certo non esempi di personale santità, ma ben capaci di capire e realizzare rapidamente quanto poteva rafforzare la centralità romana e il ruolo del pontefice. E conquistarsi il favore delle masse.
Perfino Dante, che non fu affatto tenero con Bonifacio, apprezzò il giubileo – anche se non sappiamo se si recò a Roma – tanto da commuoversi davanti al fervore dei pellegrini, attirati non solo dalla sanatoria dei peccati ma anche, se non soprattutto, dalla speranza di vedere il velo della Veronica che secondo la leggenda riportava fedelmente le fattezze del volto di Cristo: “Or fu sì fatta la sembianza vostra?”.

A Roma si andava infatti – dal momento che il viaggio in Terrasanta era divenuto impossibile – per entrare in contatto con le reliquie più importanti della cristianità: quelle di Pietro e Paolo ma soprattutto il panno della Veronica, prova concreta dell'incarnazione, e per ottenere, grazie alla comunione dei santi che unisce i vivi e i morti, la salvezza nella vita futura, problema allora drammaticamente sentito. Tanto da spingere migliaia di pellegrini ad affrontare viaggi disagiati e pericolosi, della durata di mesi, per conquistarla. I pellegrini erano soprattutto maschi e giovani: per i vecchi i disagi del viaggio non erano affrontabili, e neppure per le donne, la cui breve vita era assorbita dalle gravidanze e dalla cura dei figli.
Roma veniva così periodicamente invasa da un gran numero di giovani maschi, con tutte le conseguenze del caso, dalle liti all'aumento della prostituzione.

Ma in generale i romani non si lamentavano, anzi ne traevano notevoli benefici economici. Pellegrini voleva dire tante occasioni di guadagnare, come fu chiaro fin dal primo giubileo, offrendo vitto e alloggio a prezzi anche esageratamente alti. Come sta succedendo oggi, il giubileo veniva invocato come rimedio nei periodi di crisi: perfino Cola di Rienzo si recò fino ad Avignone per chiedere al papa di indire un giubileo per aiutare la città in decadenza, e fu accontentato perché il vantaggio economico sarebbe stato condiviso anche dalla Chiesa.
Nemici del giubileo furono solo i riformati, criticando la politica delle indulgenze e descrivendoli come un'occasione di peccato e di guadagno più che un'esperienza spirituale. La risposta di Roma fu esemplare: all'iniziativa individuale a pagamento si sostituì quella gratuita e organizzata dalle confraternite, in cui i maggiorenti della città facevano a gara a distinguersi come volontari nell'accoglienza ai pellegrini.

Grandi dormitori ordinati, pasti caldi, nobildonne che lavavano i piedi ai pellegrini: a partire da metà Cinquecento tutto funzionò molto bene, e i pellegrini cominciarono ad arrivare anche in gruppo, organizzati dalle confraternite dei loro paesi. Finita l'avventura, molto ridotta la possibilità di un ultimo peccato prima di confessarsi e chiedere perdono: la città era sorvegliatissima.
Con l'Ottocento finirono anche le indulgenze, e con esse lo straordinario sviluppo artistico di Roma. Perché i soldi arrivati con i giubilei, somme non trascurabili, erano serviti dapprima per restaurare e ricostruire la città caduta in rovina durante il papato avignonese, quindi per abbellirla. Senza quei soldi, forse non avremmo capolavori ora considerati i gioielli di Roma: la cappella Sistina, il nuovo San Pietro e le altre basiliche rinnovate, bellissime strade come via Giulia e via Sistina nate per agevolare il transito dei pellegrini, la fontana di Trevi e la scalinata della Trinità dei Monti. Salvarsi l'anima significava contribuire alla creazione artistica.

Nel Novecento l'attenzione si sposta dalle indulgenze alla conversione interiore. I pellegrini, in viaggi comodi e ormai rapidi, vengono per rafforzare la loro identità religiosa e iniziare una nuova vita, senza pagare indulgenze. Sarà un caso che la Chiesa ha smesso di essere la più grande committente artistica nella storia dell'occidente, che le opere per i giubilei siano diventate soprattutto parcheggi e sottopassi, e che il rapporto con il sacro, da concreto che era, si sia fatto, più che ineffabile, forse inafferrabile?
Francesco, con il suo insistere sulla misericordia, vuole riportare il giubileo con i piedi per terra, nella vita quotidiana e con una nuova attenzione a chi soffre.

In un momento in cui nessuno più pensa alla vita dopo la morte – perché nessuno vuole più pensare alla morte – ci parla di perdono e di misericordia, di cui tutti abbiamo bisogno nei nostri rapporti e nelle nostre vite. In un momento in cui non si pensa più a Dio e al massimo si ammira un papa capace di comunicare, Bergoglio indica nella misericordia di Dio l'unica occasione che abbiamo di raggiungerlo e di entrare in rapporto con lui. E ripete che il contatto con la sua misericordia è l'unica occasione per farne la conoscenza, e che l'unico modo che abbiamo per ricominciare e imprimere una svolta positiva alla nostra vita è offrire il perdono agli altri e chiederlo per noi.

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