Il Tribunale del riesame di Potenza ha confermato il sequestro di due vasche del Centro Oli di Viggiano dell’Eni e del pozzo di reiniezione “Costa Molina 2” a Montemurro (Potenza). Il provvedimento è stato depositato oggi, in tarda mattinata. L’operazione era stata eseguito dai Carabinieri del Noe lo scorso 31 marzo nell’ambito dell’inchiesta sul petrolio in Basilicata coordinata dalla Procura di Potenza. In particolare il Centro Oli di Viggiano è al centro del filone dell’inchiesta sul presunto smaltimento illecito di rifiuti prodotti dallo stesso impianto della Val d’Agri.
Eni: subito ricorso Cassazione
Eni ricorrerà «immediatamente» alla Corte di cassazione contro la misura. Lo ha annunciato la stessa compagnia, dicendo di aver «preso atto con rammarico della decisione» del Riesame. Il rammarico espresso dall’Eni per l’esito da mettere in relazione alle «evidenze scientifiche indipendenti depositate agli atti del procedimento penale e illustrate nel corso dell’udienza» al Tribunale del riesame. «In ogni caso, separatamente dal ricorso in Cassazione - ha spiegato la compagnia - Eni ribadisce l’intenzione di richiedere un incidente probatorio tecnico in contraddittorio con la Procura: un’istanza in tal senso sarà depositata a breve. L’istanza farà leva proprio sulle chiare evidenze scientifiche elaborate del collegio di periti indipendenti che confermano il rispetto da parte dell’impianto delle best practice internazionali per impianti analoghi adottati in tutto il mondo e della normativa italiana».
Centro oli di Viggiano verso fermata completa
Il centro oli di Viggiano dell’Eni - dove fino al 31 marzo scorso venivano trattati 75mila barili di petrolio al giorno - sarà fermato del tutto dalla compagnia, in attesa dell’esito del ricorso in Cassazione contro la conferma dei sequestri. La compagnia avvierà nel centro oli «la procedura di fermata e la messa in stato di piena sicurezza del sito». Dal 31 marzo, al centro oli erano in corso solo lavori di manutenzione. Nel centro, che alimenta la raffineria di Taranto, lavorano quasi 200 persone. Nelle aziende dell’indotto che ruotano attorno al centro sono impiegate altre migliaia di lavoratori. Finora, a partire dal 31 marzo - quando la produzione di petrolio è stata sospesa - tutti i tecnici dipendenti di Eni erano rimasti a Viggiano per eseguire i lavori necessari a tenere in efficienza gli impianti. Dal momento che il sequestro delle due vasche e del pozzo di reiniezione è stato confermato dal Tribunale del riesame, l’Eni fermerà del tutto il centro oli, con conseguenze sul personale.
Gli atti dell’inchiesta: indagato vicepresidente di Confindustria, Lo Bello
Il vicepresidente di Confindustria Ivan Lo Bello è indagato dalla procura di Potenza per associazione a delinquere. La circostanza emerge dagli atti dell'inchiesta. Per assicurarsi il controllo di un pontile nel porto di Augusta, secondo i pm, fu costituita un'associazione per delinquere composta da Gianluca Gemelli, Nicola Colicchi, Paolo Quinto e lo stesso Lo Bello. A Colicchi e Gemelli è attribuito il ruolo di «promotori, ideatori ed organizzatori»; a Quinto e Lo Bello quello di «partecipanti». Le contestazioni all'associazione riguardano, oltre al pontile nel porto di Augusta, altri progetti di impianti energetici e permessi di ricerca e i «Sistemi di difesa e sicurezza del territorio» da attuare in Campania. L'organizzazione viene definita «rudimentale» dagli inquirenti, secondo i quali però «il gruppo di indagati ha mostrato di essere permanentemente impegnato in attività che, seppure connotate da finalità lecite, vengono perseguite attraverso condotte illecite, quali il traffico di influenze illecite e l'abuso d'ufficio». Riferendosi in particolare al pontile nel porto di Augusta, Quinto, in un'intercettazione del 16 gennaio 2015, dice a Gemelli: «Se noi vogliamo fare una cosa intelligente, ti conviene prendere il pontile così condizioni l'uso di esso».
Inchiesta petrolio: Guidi strumento inconsapevole clan
L'ex ministra dello Sviluppo economico, Federica Guidi, era diventata «inconsapevole strumento di quello che lei stessa non aveva mancato di individuare quale vero e proprio clan» che aveva tra i componenti il suo compagno, Gianluca Gemelli (indagato), si legge ancora negli atti dell'inchiesta. Guidi, che non è indagata ma «parte offesa», si è dimessa lo scorso 31 marzo dopo gli arresti eseguiti nell'ambito dell'inchiesta sul petrolio in Basilicata.
Il clan «cerniera con la politica»
Due componenti del “clan” individuato nell'inchiesta sul petrolio in Basilicata - Paolo Quinto e Nicola Colicchi - «hanno assunto un 'ruolo di cerniera' col mondo politico». È quanto emerge dagli atti dell'inchiesta. L'organizzazione - composta anche da Gianluca Gemelli e Ivan Lo Bello - faceva «leva, soprattutto al fine di ottenere nomine di pubblici amministratori compiacenti o corruttibili, sul contributo di conoscenze ed entrature politico-istituzionali acquisite in anni di militanza politica da Quinto e Colicchi». Riguardo alle nomine di pubblici amministratori «compiacenti o corruttibili», gli inquirenti fanno l'esempio di Alberto Cozzo, commissario straordinario del porto di Augusta, che è indagato e che ottenne la riconferma nell'incarico. Quinto è indicato negli atti dell'inchiesta come capo della segreteria della senatrice Anna Finocchiaro (Pd), Colicchi come componente dell'esecutivo nazionale della Compagnia delle Opere e con un ruolo nella Camera di Commercio di Roma.
Per Augusta indagati De Giorgi e altri 6
Sette persone, tra le quali il Capo di Stato maggiore della Marina, Giuseppe De Giorgi, sono indagate per turbata libertà del procedimento di scelta del contraente in relazione alla concessione demaniale di un pontile nel porto di Augusta (Siracusa). L'accusa è contenuta negli atti dell'inchiesta sul petrolio in Basilicata. Gli altri indagati sono Gianluca Gemelli, Alberto Cozzo, Alfredo Leto, il contrammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto, Nicola Colicchi e Paolo Quinto. venerdì Piero Nocita, avvocato di De Giorgi, al termine dell'interrogatorio a Potenza, ha detto ai giornalisti che il suo assistito è indagato solo per abuso d'ufficio. Per ottenere la concessione, gli indagati riuscirono ad avere il trasferimento di un alto ufficiale della Marina, Roberto Camerini, e costituirono una società ad hoc, della quale Gemelli era «socio occulto».
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