Andare oltre la web tax transitoria introdotta con la manovra di primavera e arrivare in tempi brevi, forse già con la prossima legge di bilancio, a una tassazione strutturale delle società e dei gruppi multinazionali della rete che non hanno una stabile organizzazione in Italia. Tra le ipotesi allo studio al ministero dell’Economia quella di introdurre una tassazione “piatta” sugli utili prodotti dai giganti del web con la pubblicità. Google, Apple, Facebook e Amazon in sostanza dovranno versare una ritenuta d’imposta più semplicemente una “cedolare secca” sui business prodotti in Italia mettendosi così alla pari delle imprese con una stabile organizzazione che si denunciano e versano le imposte al fisco italiano.
Una strada che, dalle dichiarazioni degli ultimi giorni, sarebbe già stata imboccata da Francia e Germania. I due Paesi, così come l’Italia, da tempo stanno studiando una sorta di contatore per quelle società che profilano i clienti a partire dal momento in cui avviano una ricerca sulla rete internet. Non solo. Lo stesso ministro dell’Economia transalpino, Bruno Le Maire, è ripetutamente uscito allo scoperto in questi giorni annunciando di voler portare già al prossimo Ecofin in programma a Tallinn a metà settembre «regole semplici» per una «tassazione reale» delle grandi società della rete che beneficiano dei business in Europa o in uno degli stati membri riducendo però gli oneri fiscali. L’idea sottostante è quella che la Commissione europea nel corso del summit in programma a dicembre faccia propria questa proposta elaborata in tandem tra Parigi e Berlino.
Dal canto suo l’Italia non vuole restare a guardare consapevole che la web tax transitoria, introdotta nella primavera scorsa, ha comunque un peccato all’origine, ossia quella di essere facoltativa. Così come aveva spiegato il suo ideatore, Francesco Boccia (Pd), presidente della Commissione Bilancio della Camera, la nuova procedura ha l’obiettivo di incentivare l’emersione in Italia delle multinazionali della rete soprattutto senza dover a tutti i costi raggiungere lo stesso obiettivo con la magistratura o i controlli fiscali (si pensi agli accordi conclusi con Google e con Apple) grazie soprattutto all’azione congiunta dell’agenzia delle Entrate e della procura di Milano. Ma vuole essere un primo passo verso una forma di tassazione strutturale ed equa anche nei confronti delle big della rete.
L’idea di fondo che starebbe maturando a via XX Settembre è quella di puntare subito su una tassazione degli utili prodotti con la pubblicità on line dalle multinazionali della rete. Attendere Ocse e Fmi sulla definizione di una stabile organizzazione per chi lavora sulla rete e senza confini appare lunga e difficilmente praticabile. L’ipotesi del contatore, ritenuta la strada maestra per colpire il vero business delle multinazionali che profilano i loro clienti e vendono i dati, richiede anch’essa tempo di messa a punto e verifica di funzionamento. Una sorta di studio di settore sul valore aggiunto digitale.
La strada immediata e più semplice potrebbe dunque essere quella di una ritenuta d’imposta per le big del digitale che fatturano miliardi con la pubblicità. Misura che si trasformerebbe comunque in ritenuta d’acconto per le società che fatturano la pubblicità digitale ma con una stabile organizzazione in Italia.
Come aveva avuto modo di evidenziare nei mesi scorsi l’Ufficio parlamentare di bilancio i redditi prodotti in uno specifico paese dalle multinazionali del web sfuggono a qualsiasi tassazione “domestica” poiché manca il più delle volte una reale stabile organizzazione. La torta in gioco, stando ai numeri dell’Upb, nel solo settore della pubblicità on line è enorme. Colossi come Google e Facebook hanno fatturati del 2016 pari, rispettivamente a 82 e 33 miliardi di euro, ma con strutture societarie che consentono una “allocazione” formale dei ricavi assai distante da quella dei “ricavi geografici”.
Il cantiere della nuova web tax, comunque, riprenderà a lavorare dopo la pausa agostana per arrivare a un possibile inserimento del nuovo prelievo strutturale, come detto, nella prossima legge di bilancio. Un prelievo magari anche soltanto simbolico, una sorta di testimone lasciato per la prossima legislatura. Se si vorrà percorre fino in fondo la strada della costruzione di una nuova imposta per il digitale, il lavoro vero si farà solo dopo le elezioni.
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