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Dossier Di Maio nella City per «rassicurare» gli investitori. Ma torna…

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Dossier | N. 177 articoliElezioni 2018-Ultime notizie, interviste e video

Di Maio nella City per «rassicurare» gli investitori. Ma torna ipotesi asse con la Lega «no euro»

Oggi Luigi Di Maio incontrerà a porte chiuse nella City una serie di rappresentanti di società e fondi d’investimento, soprattutto americani e anglosassoni. Obiettivo: «Rassicurare. Dirò loro che il Movimento è una forza seria e che non lasceremo il Paese nel caos e ai voltagabbana». A rovinare la festa, però, è stato ieri il giornalista Gianluigi Paragone, ex direttore della Padania prima di approdare alla Rai, che si è autopromosso al rango di pontiere con il Carroccio di Matteo Salvini per eventuali accordi post-voto. Rivangando le affinità elettive con la Lega su quel punto che Di Maio ha fatto di tutto per archiviare nella sua corsa a trasformare il M5S da movimento anti-sistema a potenziale partito di governo: la contrarietà all’euro. Uno spauracchio per le cancellerie europee e per gli stessi investitori che Di Maio si appresta a «tranquillizzare».

Paragone cita gli economisti no-euro Bagnai e Borghi
È stato Paragone a evocare tra i punti di contatto tra Cinque Stelle e Lega l’avversità alla moneta unica. «Sicuramente - ha detto ai microfoni di Radio Cusano Campus - le candidature di Borghi e Bagnai hanno una sensibilità culturale che è vicino alla mia e anche a un certo modo di pensare dentro al Movimento Cinque Stelle. Su alcuni temi macroeconomici ci può e ci deve essere un dialogo aperto. Così vale anche per alcuni temi legati alla sicurezza». Alberto Bagnai è l’economista apertamente no-euro candidato dalla Lega al Senato in diversi listini del proporzionale nel centro Italia e nel collegio uninominale di Firenze contro Matteo Renzi. Claudio Borghi è il responsabile economico del Carroccio, schierato contro il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan nel collegio della Camera a Siena e da sempre nemico giurato della moneta unica.

Accordo con la Lega? Tutte le incognite
La mano tesa di Paragone, che sfida a Varese il suo ex padre putativo Umberto Bossi e che appena due giorni fa aveva bollato la candidatura del Senatùr come «la didascalia di un centrodestra che un tempo era alleato delle imprese e che ora si sente padrone del territorio», ha un valore tutto interno: proporsi come «uomo del dialogo» tra il suo vecchio mondo e il nuovo, prima per contendere alla Lega il suo elettorato tradizionale in Lombardia e poi per lasciare aperta la porta a quell’alleanza post-voto sempre ipotizzata dietro le quinte ma mai confermata. Anche perché la fattibilità della partita si capirà soltanto la sera del 4 marzo, a urne chiuse e a “conta” dei seggi effettuata. E dipenderà non soltanto dai numeri, ma dalle mosse del presidente Sergio Mattarella e dalla tenuta della coalizione di centrodestra, con Berlusconi e Salvini eterni duellanti . Non solo: dovrà vincere le resistenze di tanti del M5S, come Roberto Fico, più propensi a guardare a sinistra che a un asse con il Carroccio di cui non vogliono sentir parlare.

Le sette fatiche di Di Maio
È però la tempistica dell’uscita di Paragone ad aver creato più di un imbarazzo. Perché stamane a Londra Di Maio, accompagnato dall’economista Lorenzo Fioramonti (docente all’Università di Pretoria e candidato M5S a Roma), dovrà fare sette fatiche per perorare davanti alla platea di investitori preoccupati dalla situazione politica italiana la causa di un Movimento che ha abbandonato i toni anti-establishment delle origini e che è in grado di governare «senza turbolenze», con un programma che definirà «moderato». Un Movimento che ha derubricato il referendum per l’uscita dall’euro a «ultima spiaggia», confidando in un’Europa che saprà ascoltare le esigenze di crescita del Paese e sperando persino di poter vedersi accordare lo sforamento del paramento del 3% deficit-Pil «per investimenti ad alto moltiplicatore occupazionale».

L’«esempio» di Roma e il possibile effetto boomerang
Non è la prima volta che Di Maio vola sulle rive del Tamigi (c’era stato ad aprile 2016, ufficialmente come vicepresidente della Camera e presidente del “Comitato di vigilanza sull’attività di documentazione” ma già come volto del M5S spendibile sulla scena internazionale), ma è la prima volta che va nella City con l’ambizione di guidare il governo del Paese. Ieri, sponsorizzando la candidata governatrice del Lazio insieme alla sindaca di Roma Virginia Raggi, ha anticipato: «Agli investitori internazionali, che chiedono meno burocrazia e certezza del diritto, racconterò che siamo entrati al Parlamento Ue come quelli che nessuno considerava e invece abbiamo oggi un’alta carica istituzionale, con Fabio Massimo Castaldo (vicepresidente dell’Europarlamento, ndr). Racconterò il piano delle partecipate di Roma e il piano di taglio del debito pubblico in tutti i Comuni a 5 Stelle. Noi siamo gli unici che quando governano non aumentano il debito pubblico dei Comuni». Ma forse l’esempio di Roma - con l’Atac gravata da 1,35 miliardi di debiti e avviata sulla strada accidentata del concordato preventivo in continuità e l’Ama che non riesce a fronteggiare le cicliche emergenze rifiuti - non è esattamente la rassicurazione che i mercati si aspettano. Così come marce indietro, seppur solo ipotetiche, sulla fedeltà all’Eurozona.

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