A meno di quattro giorni dal voto, la competizione elettorale si fa sempre più aspra e le distanze si allargano anche all’interno delle coalizioni. Nel centrodestra Matteo Salvini, che si dice sicuro di viaggiare intorno al 15% e di avere più voti di Forza Italia, alza i toni e rilancia i distinguo dall’allaeato.
No alla manovrina
L’intervistatore chiede a Salvini: se l’Europa dopo il voto ci chiede la manovra correttiva lei risponderà no? «Assolutamente sì», risponde il leader leghista. E spiega: «Altri Paesi europei si preoccupano di questo numerino, il tre per cento? No. E allora perché devo aumentare le tasse agli italiani per dar retta all’Europa?». Dichiarazioni che suscitano grande imbarazzo in Forza Italia, il cui leader Silvio Berlusconi è andato a rassicurare Bruxelles sugli intenti filoeuropeisti della coalizione. D’altra parte, Salvini non è tenero neppure nei confronti del presidente del parlamento europeo Antonio Tajani, che ieri Berlusconi ha definitivamente incoronato come candidato premier di Forza Italia.
La disputa su Tajani
«Tajani fa egregiamente il suo lavoro al Parlamento europeo e credo che continuerà anche a farlo. Perché il 4 marzo vinciamo noi», è la punzecchiatura di Salvini a un Cavaliere che ha appena finito il discorso di candidatura ufficiale a premier di Tajani. Non che il leader del Carroccio sia mai stato un fan sfegatato del presidente del parlamento europeo. Quando si trattò di eleggerlo, anzi, Salvini si girò dall’altra parte e commentò ruvidamente: «La Lega si è rifiutata di votare due servi dello stesso padrone tedesco. Tajani? Macché italiano. È solo l’ennesimo domestico al servizio della Merkel. Pur di portare a casa la poltrona europea, Fi ha chiesto e ottenuto i voti degli amici di Monti e di Prodi, dei difensori dell’euro, delle banche e dell’immigrazione di massa che stanno massacrando l’Italia. Se il buongiorno si vede dal mattino, tanti saluti a Forza Italia. Chi difende quest’Europa e l’euro fa il male dell’Italia e non sarà alleato della Lega». Torna insomma il tema dirimente dell’Europa, sul quale i due alleati hanno filosofie troppo diverse.
Il caso Casapound
Anche il caso Casapound non ha accorciato il fossato tra i due alleati, anzi. Di per sè, il fatto che Casapound faccia un endorsement per Salvini non sarebbe così problematico. Se però poi Salvini strizza l’occhio assicurando che «dopo il 5 marzo incontro tutti», allora il discorso cambia. Non solo, il giorno seguente rilancia precisando: «Con Casapound parlo se entrano in Parlamento». E intanto i moderati di Forza Italia tacciono in un grande imbarazzo. E la manifestazione unitaria di fine campagna elettorale si riduce a una foto-opportunity a tre senza piazza né bandiere.
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