«La priorità sarà disinnescare le clausole di salvaguardia per scongiurare l’aumento dell’Iva. E assicurare l’equilibrio dei conti pubblici». Dal M5S sanno bene che il Def 2018, che va presentato entro il 10 aprile e inviato a Bruxelles entro il 30, sarà il primo banco di prova del futuro governo, a patto che per quella data si riesca a trovare i numeri in Parlamento per costruire una maggioranza. Nel solco della linea governista abbracciata da Luigi Di Maio, dal Movimento trapela la rassicurazione di procedere senza sobbalzi, in continuità con i precedenti esecutivi.
Lo scoglio principale, come sempre, sono le risorse: dove trovare i 12,4 miliardi necessari per sventare la stangata Iva nel 2019? Al lavoro sul dossier c’è lo staff economico di Di Maio: dalla fedelissima Laura Castelli, deputata rieletta in Piemonte, ai tre ministri in pectore Andrea Roventini, Lorenzo Fioramonti e Pasquale Tridico. Tutti consapevoli che le stime macroeconomiche sono quelle che sta già formulando il ministro Pier Carlo Padoan, che insieme al resto del governo Gentiloni rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti. Gli ultimi dati Istat lasciano spazio a un moderato ottimismo, soprattutto per l’aumento dell’1,5% del Pil nel 2017, in linea con le previsioni, e per il rapporto deficit-Pil sceso all’1,9% contro il 2,5% dell’anno precedente. Cifre cui i pentastellati guardano con attenzione, perché da quelle si partirà per comporre il quadro tendenziale che sarà inviato alla Commissione Ue e perché su quelle il nuovo governo dovrà impostare il profilo programmatico: l’impianto degli impegni di politica economica da attuare con la prossima legge di bilancio.
Il Movimento si muove con cautela. I più sono convinti che ad aprile non ci sarà un nuovo esecutivo. Se così fosse, l’invio del Def con il solo quadro tendenziale spetterebbe a Padoan, Bruxelles potrebbe essere costretta a sospendere ancora per mesi il giudizio sui nostri conti e la paventata manovra correttiva da 3,5 miliardi e la vera partita slitterebbe probabilmente a settembre con la Nota di aggiornamento. Roventini, designato da Di Maio per l’Economia, ha già chiarito al Sole 24 Ore che «nel nostro Def non ci sarà spazio per idee bizzarre o utopistiche, ma di certo porremo maggiore attenzione al tema della crescita e degli investimenti pubblici, mantenendo comunque l’equilibrio dei conti».
È sicuro, a giudicare da tutte le dichiarazioni dei tecnici M5S, che il Movimento di governo chiederebbe alla Commissione Ue maggiore flessibilità, senza però mettere sul tavolo l’ipotesi di sforare il 3 per cento. L’intenzione è giocare ai tavoli europei un’altra carta, tutta tecnica, per avere più margini di manovra: aprire un confronto per strappare a Bruxelles il ricalcolo dell’output gap, la differenza tra Pil effettivo e potenziale su cui viene stabilito il deficit strutturale e gli obiettivi di medio termine. Si punta cioè a ottenere una revisione al rialzo del Pil potenziale italiano ricalcolando il tasso di disoccupazione che non genera inflazione (il Nawru), che secondo i pentastellati oggi è misurato in maniera tale da penalizzare l’Italia, svantaggiata dai suoi oltre 3 milioni di disoccupati definiti «scoraggiati» dall’Istat. Come? L’idea è usare la proposta politica pentastellata del reddito di cittadinanza, che in realtà è un reddito minimo, come leva per garantire un aumento del tasso di partecipazione alla forza lavoro e permettere a livello statistico di realizzare un deficit strutturale più ampio in termini assoluti ma non in termini di prodotto potenziale. Un milione di “cercatori di lavoro” conteggiati in più - è la stima - equivalgono a una boccata d’ossigeno di 19 miliardi.
La querelle è antica. La stessa manovra correttiva chiesta da Bruxelles è figlia anche di uno scarto nel calcolo dell’output gap. Padoan ha più volte segnalato alle autorità europee la penalizzazione che deriva all’Italia dai criteri adottati. Perché mai i Cinque Stelle dovrebbero avere più fortuna con i commissari e arrivare a un accordo? «Padoan non ha il reddito minimo in agenda», replica una fonte M5S. Ma anche quello costa 17 miliardi. «Abbiamo le coperture», continuano a ripetere dall’entourage di Di Maio. A complicare il quadro c’è il fatto che un governo 5 Stelle, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, dovrà comunque dare un segnale di discontinuità nella direzione di una politica espansiva, bandiera del team economico di professori anti-austerity. Cercando di racimolare più del magro tesoretto di 4 miliardi destinato alla crescita nella manovra 2018.
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