Nel cosiddetto “decreto Salvini” su sicurezza e immigrazione spunta una norma sulla certificazione dei bilanci delle squadre dei campionati di calcio di A e B. Il testo uscito dal Consiglio dei ministri contiene un articolo in base al quale, a partire dalla prossima stagione, potranno accedere «alla ripartizione della quota dei diritti audiovisivi» solo le società di A e B che avranno sottoposto i propri bilanci a una società di revisione soggetta alla vigilanza della Consob.
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In realtà si tratta di una norma di indirizzo che non ha alcun effetto innovativo.
Già da tempo infatti i bilanci delle società di calcio di Serie A (a cui va il 90% del ricavato della vendita dei diritti tv del massimo campionato) e di quelle della Serie B (a cui vanno, oltre che i diritti tv propri, il 6% dei diritti della Serie A nell’ambito della mutualità tra categorie) sono
certificati.
Dalla stagione 2017/18 peraltro, secondo la riforma varata dalla Figc qualche anno fa, per indicazione del direttore generale Michele Uva, anche le società di Lega Pro devono essere certificati. Ai club di Serie C va il 2% dei ricavi della A (circa 24 milioni di euro) in solidarietà. Un altro 1% dei diritti tv va
alla Lega Dilettanti. L’unico soggetto destinatario dei diritti tv secondo la Legge Melandri a non avere l’obbligo di certificazione del bilancio.
Ad ogni modo né la Lega Pro, né la Lega Dilettanti sono citati nella norma del Decreto Salvini.
L’articolo in cui è contenuta la norma è il 41, l’ultimo prima del Capo IV stabilisce infatti che: «A partire dalla stagione sportiva 2019-2020 possono accedere alla ripartizione della quota dei diritti audiovisivi da assegnare ai partecipanti ai campionati di calcio di serie A e B solo le società, quotate e non quotate, che abbiano sottoposto i propri bilanci alla revisione legale svolta da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili, la quale, limitatamente a tali incarichi, è soggetta alla vigilanza della Commissione nazionale per le società e la borsa», vale a dire la Consob. Incarichi che, si legge ancora nel testo «hanno la durata di tre esercizi e non possono essere rinnovati o nuovamente conferiti se non siano decorsi almeno tre anni dalla data di cessazione dei precedenti».
In realtà dal 2017 è previsto che il 10% del valore complessivo dei contratti per i diritti audiovisivi della Serie A sia destinato a programmi di sviluppo dei settori giovanili delle società, formazione e utilizzo di calciatori convocabili per le nazionali giovanili italiane maschili e femminili, sostengo degli investimenti per gli impianti sportivi per lo sviluppo dei Centri Federali Territoriali e delle attività giovanili della Figc.
Proprio alla Federcalcio italiana è stato affidato il compito di gestire il 10% di mutualità (determinando criteri, modalità di erogazione e rendicontazione dei contributi), suddividendo i proventi tra i diversi stakeholder che dimostrino di perseguire gli obiettivi indicati: il 6% alla Lega Serie B, il 2% appunto alla Lega Pro, l’1% alla Lega nazionale Dilettanti (mentre il rimanente 1% rimarrà a disposizione della stessa Federcalcio).
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