Ombre scure sugli effetti della manovra calano dal giro di audizioni davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. La stima fatta dall’esecutivo relativa alla crescita è «troppo ambiziosa» per il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, col “rischio” di rendere non sostenibili gli obiettivi del contratto di Governo. Al contrario, «se la crescita annunciata non ci sarà, lo sforamento sarà stato fine a se stesso, mettendo a rischio la nostra stessa credibilità».
Il «cambiamento», in termini economici, può anche significare «peggioramento». Secondo le previsioni di ottobre del CsC richiamate nel 2019 l'aumento del Pil tendenziale sarà dello 0,9%, in rallentamento sul +1,1% di quest'anno (l'Ue «stima l'1,2% nel 2019, il più basso in Europa»). Sotto accusa l'efficacia «limitata» di misure «orientate prevalentemente ai consumi» (28 miliardi su una manovra da 41) e «poco al sostegno degli investimenti». Nel complesso Confindustria condivide interventi «orientati alla solidarietà e alla coesione sociale», tuttavia «siamo contrari a derive assistenzialistiche, che negano la dignità del lavoro, e a interventi estemporanei che rischiano di minare la sostenibilità del bilancio pubblico, scaricando sulle generazioni future il peso delle scelte di oggi». L’auspicio è nel senso che il reddito di cittadinanza non si trasformi «da potenziale “ponte” verso il lavoro in mera assistenza».
Una drastica riduzione del cuneo fiscale, a vantaggio anzitutto dei lavoratori più giovani, il potenziamento degli incentivi ai premi aziendali, il rafforzamento della formazione e delle leve utili a coniugare domanda e offerta di lavoro: ecco alcune delle misure che secondo il presidente di Confindustria sarebbe necessario mettere in campo e che avrebbero un «effetto potente» su crescita e occupazione. Del resto, i benefici derivanti dalla revisione delle regole pensionistiche sono «tutt'altro che automatici, per ragioni legate alla specializzazione (e, quindi, alla non agevole sostituibilità) delle figure in uscita e, di nuovo, al peggioramento del clima di fiducia». Boccia su questo è netto. «Non siamo riusciti a trovare un'analisi che sostanzi l'ipotesi di una sostituzione 1 a 1 tra giovani e persone più avanti in età».
Upb stima deficit 2019 al 2,6 per cento
In precedenza altre voci critiche si erano levate in audizione. Nelle valutazioni più recenti dell'Ufficio parlamentare di
bilancio il deficit si posizionerebbe nel 2019 al 2,6% del Pil. Secondo il suo presidente «le divergenze rispetto alla stima della Nadef e a quella recentemente diffusa dalla Commissione
europea sono imputabili alla diversa previsione sulla crescita economica e all'impatto dell'aumento dello spread sulla spesa
per interessi». Le grandezze della finanza pubblica programmate dal governo «appaiono soggette a rischi (indebolimento del quadro macroeconomico
e impatto dell'evoluzione recente dei tassi di interesse) e incertezze (l'efficacia delle misure di razionalizzazione della
spesa, i tempi di attuazione delle norme sul “reddito di cittadinanza” e sulla riforma del sistema pensionistico, l'effettiva
realizzazione dei valori programmatici della spesa per investimenti)».
Inoltre chi optasse per quota 100 «subirebbe una riduzione della pensione lorda rispetto a quella corrispondente alla prima uscita utile con il regime attuale da circa il 5 per cento in caso di anticipo solo di un anno a oltre il 30 per cento se l'anticipo è di oltre 4 anni». La platea potenziale per il 2019 calcolata sarebbe di 437mila contribuenti attivi e, nell’eventualità di un’uscita da parte di tutti, ci sarebbe un «aumento di spesa lorda per 13 miliardi».
Corte dei conti: poche risorse per nodi irrisolti
«Al fine di rispondere a criticità sul piano sociale - oltre che all'urgenza di riavvio delle opere pubbliche - la manovra sceglie di concentrare risorse su limitati interventi. Tale polarizzazione si traduce in una carenza di risorse
per affrontare nodi irrisolti e garantire un adeguato livello di servizi in comparti essenziali per la collettività» denuncia
il presidente della Corte dei conti Angelo Buscema. Bisogna «valutare attentamente gli effetti negativi» dell'ampliamento della flat tax sia «in termini di rinvio della fatturazione,
allo scopo di non superare la soglia di legge o, peggio, spingendo all'occultamento tout court delle prestazioni effettuate»
sia per gli effetti sul mercato del lavoro. Nella relazione dei giudici contabili sulla manovra si sottolinea ancora che l'ampliamento
«può o indurre i nuovi contribuenti e le imprese datoriali a preferire l'assoggettamento a tale regime piuttosto che costituire
nuovi rapporti di lavoro dipendente». Quel che occorrerebbe è «una più incisiva azione sul fronte della razionalizzazione
della spesa» con la «preventiva individuazione di aree di inefficienza o di inefficacia sulle quali intervenire con tagli
mirati». A riguardo i risparmi previsti a copertura puntano «soprattutto su rimodulazioni e riprogrammazioni o riduzioni di
stanziamenti ancora da ripartire ripetendo scelte del passato volte a rinviare» l'individuazione delle aree «meno funzionali»
su cui agire. «Positiva» invece risulta la conferma delle iniziative nella direzione della cosiddetta Industria 4.0 a giudizio
della la Corte dei conti per la quale «andrebbero, comunque, preservate alcune misure di incentivazione che hanno mostrato
una elevata efficacia».
Istat: il mutato quadro economico può influire sui saldi
«Per il 2017 è confermato un indebitamento pari al 2,4% del Pil e un debito pari al 131,2%. Per l'anno in corso e i successivi
si conferma quanto espresso nell'audizione sul Def pur sottolineando che un mutato scenario economico potrebbe influire sui
saldi di finanza pubblica in modo marginale per il 2018 ma in misura più tangibile per gli anni successivi». Così l’Istat
nel corso dell'audizione sulla manovra davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato.
Nel terzo trimestre l'economia ha registrato una «battuta d'arresto, dopo 14 trimestri di crescita». In termini meccanici sarebbe necessaria una variazione congiunturale del Pil dello 0,4% nel quarto trimestre per raggiungere gli obiettivi di crescita della Nadef per il 2018 (+1,2%). Questo secondo l’indicazione fornita dall’Istat nel corso dell’audizione sulla legge di Bilancio, aggiungendo che l'indicatore anticipatore «prelude alla persistenza di una fase di debolezza del ciclo economico». Nel complesso i provvedimenti sulla tassazione delle imprese «generano una riduzione del debito di imposta Ires per il 7% delle imprese, mentre per più di un terzo tale debito risulta in aumento. L'aggravio medio di imposta è pari al 2,1%: l'introduzione della mini-Ires (-1,7%) non compensa gli effetti dell'abrogazione dell'Ace (+2,3%) e della mancata proroga del maxi-ammortamento (+1,5%)». Per l'Istat «l'aggravio è maggiore tra le imprese fino a 10 dipendenti».
Considerando l'ipotesi che il reddito di cittadinanza corrisponda a un aumento dei trasferimenti pubblici pari a circa 9 miliardi «secondo le simulazioni effettuate il Pil registrerebbe un aumento dello 0,2% rispetto allo scenario base. Questa reattività potrebbe essere più elevata, e pari allo 0,3%, nel caso in cui si consideri l'impatto del reddito di cittadinanza come uno shock diretto sui consumi delle famiglie». È uno degli ulteriori dati forniti dall'Istat nell'audizione sulla manovra. Le risorse effettive per il reddito partendo dal fondo da 9 miliardi «di cui 2,2 miliardi corrispondenti ai precedenti stanziamenti per il reddito di inclusione», sono di 8 miliardi perché 1 miliardo è destinato ai centri per l'impiego. Il modello utilizzato dall'Istat, ha spiegato il presidente facente funzione Maurizio Franzini, «stima un incremento del Pil pari allo 0,7% in corrispondenza di un aumento della spesa pubblica pari all'1% del prodotto interno lordo. L'effetto del beneficio sul Pil terminerebbe dopo 5 anni, quando la riduzione dell'output gap e il conseguente aumento dei prezzi annullerebbero gli effetti positivi della spesa pubblica. Gli effetti positivi di questo scenario sono raggiunti sotto l'ipotesi che nello stesso periodo non si verifichino peggioramenti delle condizioni di politica monetaria, ovvero che non ci siano aumenti dei tassi di interesse di breve termine».
Anci: manca riforma tasse locali, unire Imu-Tasi
Chi trova «carente»la manovra «nel rispondere alle sempre crescenti esigenze di una complessiva riorganizzazione della fiscalità
comunale» è l'Anci che nel documento illustrato alle commissioni Bilancio di Camera e Senato chiede in particolare di «riunire Imu e Tasi in
un unico prelievo, abolendo la Tasi». L'associazione dei Comuni ricorda anche «la riforma inattuata del catasto i cui valori
obsoleti incidono direttamente sulla ripartizione dei carichi fiscali tra i contribuenti e delle risorse tra i Comuni». Occorre
nello specifico una particolare attenzione al tema della messa in sicurezza del patrimonio edilizio pubblico, delle infrastrutture
viarie e non («chiediamo risorse congrue, certe e rapide in settori nevralgici, come la messa in sicurezza di scuole, strade,
edifici e territorio»). Per l’Anci «sono innumerevoli gli ambiti di interesse dei Comuni, dalle infrastrutture, alla manutenzione
del territorio, al miglioramento dei servizi, al contrasto delle emergenze. I sindaci - sottolineano - sono stanchi di essere
sempre individuati come i responsabili, non essendo nella maggioranza dei casi i titolari diretti dei finanziamenti che attendono
da altri livelli di governo. Riteniamo indispensabile avere chiarezza e coincidenza fra compiti, poteri e risorse per assicurare
ai cittadini la massima trasparenza e applicare un sano principio di responsabilità. Sono troppi “gli ambiti sensibili in
i sindaci sono «sovraesposti senza risorse e regole chiare».
Upi: servono 3 miliardi per manutenzione di ponti e scuole
Stanziare nella legge di bilancio un miliardo e mezzo in cinque anni per la manutenzione di ponti, viadotti, gallerie e un
altro miliardo e mezzo per la manutenzione, gestione e messa in sicurezza delle 5.100 scuole superiori di competenza di Province
e Città metropolitane. Sono due delle richieste chiave avanzate dall'Upi nel corso dell'audizione sulla manovra in Parlamento, che invita il Parlamento a trovare «il coraggio di restituire alle
Province la capacità di assolvere a pieno la missione loro assegnata nel disegno istituzionale del Paese».
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