Litigano sulla Tav e sulle grandi opere, sul decreto sicurezza, sul fisco, sull’immigrazione, sulla prescrizione, sul conflitto d’interessi. Ma su un fronte oggi i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini sembrano marciare compatti: la linea dura contro l’Europa sulla manovra, che non intendono ritoccare sulle cifre più indigeste a Bruxelles, il 2,4% deficit-Pil e la crescita all’1,5% nel 2019. Alimentando però altre tensioni all’interno del Governo, dove il ministro dell’Economia Giovanni Tria tenta con pochi risultati di studiare formule e toni più concilianti con Bruxelles.
Oggi ci sarà il redde rationem: al ritorno del premier Giuseppe Conte da Palermo, si terrà l’atteso vertice di maggioranza per concordare la risposta alla Commissione Ue, prima del Consiglio dei ministri convocato per le 20. «Il tasso di crescita non si negozia, né fuori dal Governo né all’interno», ha sottolineato Tria di buon mattino, dopo la ridda di indiscrezioni secondo cui il Mef sta lavorando per convincere i due partiti di maggioranza a un piccolo ritocco delle previsioni di crescita, finite di nuovo ieri nel mirino di Upb, Corte dei conti e Confindustria. Al vaglio dei tecnici dell’Economia ci sarebbe anche il tentativo di garantire un programma di riduzione del debito più stringente, con una spinta aggiuntiva a dismissioni e privatizzazioni e riflessi possibili anche sul deficit 2020 e 2021. E poco di più, come una spiegazione più accurata del meccanismo di monitoraggio della spesa (in particolare per quota 100 e reddito di cittadinanza), in chiave anti-sforamento.
Da Lega e M5S, finora, è arrivato l’alt a modifiche degli obiettivi 2019. Salvini ha già anticipato che «i fondamentali non si toccano». Oggi il capogruppo dei leghisti al Senato, Massimiliano Romeo, è stato categorico sulla stima di crescita all’1,5%: «Modificarla non esiste. Noi scriveremo all’Europa che la strada giusta è quella». Si confida nella debolezza di una Commissione arrivata quasi a fine mandato e nella capacità di mediazione di Conte con i partner europei, Angela Merkel in testa, per sventare la procedura di infrazione per violazione della regola del debito.
È per questo che dal M5S è stato accolto con soddisfazione l’editoriale pubblicato stamane sul Financial Times da David Folkerts-Landau, capo economista di Deutsch Bank. Che avverte: «Una crisi del debito in Italia porrebbe un rischio esistenziale all’Eurozona». Landau invoca l’intervento del Fondo salva-Stati (Esm) e propone un patto per superare l’impasse: «L’Italia accetta che i miglioramenti duraturi per la sua crescita non sono raggiungibili senza riforme strutturali. L'Europa riconosce che la soluzione all’eccesso di debito non è l’austerità assoluta». Musica nelle orecchie dei pentastellati. L’eurodeputato Ignazio Corrao esprime la contrarietà M5S all’intervento Esm, ma fa notare come l’economista tedesco riconosca di fatto che «l’Italia ha un avanzo primario che rende la sua economia solida e sana, un tesoretto sacrificato per pagare gli interessi su un debito ereditato dal passato».
Né Di Maio né Salvini hanno intenzione di mostrare cedimenti verso Bruxelles alla vigilia della campagna elettorale per le europee di maggio 2019. Ma i loro rapporti sono sempre più deteriorati, complici le difficoltà di tenuta del Movimento, che secondo i sondaggi continua a perdere consensi a tutto vantaggio della Lega. Sulla Tav si prende tempo con la Francia, in attesa di sciogliere il nodo. Ma il continuo richiamo al contratto di governo e all’analisi costi-benefici lascia intendere come probabilmente alla fine il M5S sarà costretto a cedere, in cambio di qualche «revisione» del progetto. La piazza milanese di sabato ha allarmato, insieme ai tanti malumori che arrivano dal Nord e dal tessuto produttivo del Paese. Che potrebbero aumentare se il reddito di cittadinanza, come emerge dalle simulazioni del Sole 24 Ore del Lunedì , premiasse in gran parte il Sud.
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