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    Dossier | N. 47 articoli Spirits

    Capovilla, il signore degli alambicchi che “scommette” sulla frutta

    Vittorio Gianni Capovilla (Wowe)
    Vittorio Gianni Capovilla (Wowe)

    Vittorio Gianni Capovilla. Solitamente chiamato il “Capo”, con un misto di simpatia, di rispetto, e probabilmente anche per brevità. Perché in effetti l'uomo in questione sembra non aver molto tempo da perdere e rivela una malcelata insofferenza per smancerie e complimenti. Anche se nel suo settore i distillati e le grappe di Capovilla sono sinonimo di prestigio.
    È la conseguenza di un passaparola costante per un'azienda nata nel vicentino nel 1986 e che, dopo poco più di trent'anni, produce appena 50mila bottiglie, metà delle quali destinate all'export. Un impatto sul mercato che potrebbe apparire irrilevante, guardando semplicemente ai numeri, eppure il nome Capovilla è lì, nell'Olimpo “degli spiriti”.

    - Allora, può svelarci il segreto?
    «Nessun segreto in realtà. Ho iniziato a distillare per hobby e per passione, con un alambicco a bagnomaria da 60 litri comprato in Austria. Poi, dal 1986, professionalmente ma sempre seguendo la mia filosofia, che vuole avere solo dei fermentati come “base”, e la mia curiosità, che mi ha spinto a distillare un numero considerevole di varietà di frutta».

    - I distillati di ciliegie selvatiche, di bacche di sambuco, di corniole e di pere del miele solo per dirne qualcuno. Rarità a parte, cosa hanno di diverso dalle comuni grappe alla frutta?
    «La base. Ovvero io non aromatizzo una grappa o un alcol di partenza con un frutto o una bacca ma scelgo la frutta, la raccolgo, la trasformo in purea e solo dopo l'avvenuta fermentazione spontanea la distillo. È un processo totalmente differente che tra l'altro posso valutare appieno solo a distillazione finita».

    - In che senso?
    «Nel senso che, ad esempio, io avrò provato a distillare quasi 150 delle oltre mille varietà di mele che esistono ma non tutte hanno garantito quell'obiettivo che cerco nella distillazione ossia il trasferimento integro dei profumi e del gusto della frutta nella bottiglia. Perché non tutti i frutti si prestano alla distillazione, tuttavia finché non provi non sai. Ecco perché la nostra ricerca ha a volte il senso della scommessa, ma questa è comunque la parte più emozionante di tutto il lavoro. Soprattutto quando si realizza di aver avuto l'idea giusta».

    - Ma queste varietà particolari dove le trova?
    «Abbiamo circa tre ettari coltivati con piante ormai rare e contatti con contadini che ci segnalano un paio di alberi con frutta interessante. Come ho detto, il bello del nostro lavoro è la scoperta, la raccolta manuale della frutta, la trasformazione e la verifica del risultato finale. Ho scoperto questa passione quando viaggiavo per lavoro, mi occupavo di macchinari per l'enologia, in Austria e in Germania, Paesi dove la distillazione della frutta è una pratica molto più popolare che da noi. E, infatti, qui in Italia all'inizio è stata dura».


    - Ricapitoliamo. Produzione limitata, ricerca costante di frutta a volte dimenticata, risultati che possono essere inaspettati. Insomma, chi glielo fa fare?
    «Beh, l'azienda sta in piedi ovviamente anche se metà del fatturato se ne va in stipendi. E la soddisfazione vera la trovo naturalmente quando ottengo i risultati che mi soddisfano. Tuttavia credo che il motivo vero per fare ciò che faccio e come lo faccio sia semplicemente perché non posso farne a meno».

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