Sbarchi nei porti italiani in calo ma regole immutate sulla disciplina del diritto d’asilo a livello europeo e sulle regole di ingaggio delle missioni europee nel Mediterraneo. È questo un primo bilancio sull’attuazione del contratto di governo M5S-Lega, a un anno dalle elezioni del 4 marzo 2018 che hanno registrato l’affermazione alle urne delle due forze politiche.
Il calo degli sbarchi
Partiamo dal primo punto definito dal contratto di governo M5S-Lega sul tema immigrazione: «Si deve puntare alla riduzione
della pressione dei flussi sulle frontiere esterne e del conseguente traffico di esseri umani». I dati Unhcr registrano in
effetti un crollo degli arrivi in Italia: 119.369 nel 2017, 23.371 nel 2018, con un calo dell’80,4%. Flessione ancora più
marcata (-95,%) se si guarda ai dati degli sbarchi registrati dal Viminale nel primo bimestre 2019 comparati con i dati riferiti
allo stesso periodo del 2018. I flussi si sono riversati sulla Spagna: oltre 57 mila arrivi nel 2018, metà del totale europeo.
Alla base del calo degli sbarchi in Italia la chiusura dei porti alle navi delle Ong, il sostegno alla Guardia costiera libica
sia dal punto di vista della fornitura di imbarcazioni sia su sul fronte dell’addestramento. Va detto che la contrazione degli
sbarchi era iniziata con l’ex responsabile del Viminale nel governo Gentiloni, Marco Minniti.
VAI AL DOSSIER. 4 marzo 2019, cosa è cambiato a un anno dalle elezioni
Stretta sui richiedenti asilo che commettono reato
«Occorre prevedere specifiche fattispecie di reato che comportino, qualora commessi da richiedenti asilo, il loro immediato
allontanamento dal territorio nazionale», recita ancora l’accordo. Il cosiddetto “decreto sicurezza” amplia i reati (violenza,
omicidio, spaccio di stupefacenti, furto, rapina) che, per la loro gravità, comportano il diniego o la revoca della protezione
internazionale. Un altro gruppo di misure restrittive si occupa di chi ha già ottenuto lo status di rifugiato: si parte dall’estensione
dei reati che, in caso di condanna definitiva, comportano la revoca (o il diniego) dello status, inclusi alcuni reati di particolare
allarme sociale (violenza sessuale, lesioni gravi, rapina, violenza a pubblico ufficiale, mutilazioni sessuali, furto aggravato,
traffico di droga, furto in abitazione, anche non aggravato).
Procedure più veloci per lo status di rifugiato
«In osservanza dei diritti costituzionalmente garantiti - si legge nell'accordo di governo - proponiamo che le procedure per
la verifica del diritto allo status di rifugiato o la sua revoca siano rese certe e veloci, anche mediante l'adozione di procedure
accelerate e/o di frontiera, l'individuazione dei Paesi sicuri di origine e provenienza, la protezione all'interno del Paese
di origine e l’allineamento delle attuali forme di protezione agli standard internazionali». Il decreto sicurezza disciplina
vari aspetti dell'iter per la concessione della protezione internazionale. In particolare, si prevede l'accelerazione delle
procedure di esame delle domande di asilo in casi particolari (domanda reiterata senza nuovi motivi; domanda presentata da
persona proveniente da Paese inserito nell'elenco di quelli “sicuri”; domanda presentata alla frontiera dopo aver cercato
di eludere i controlli). Sempre per velocizzare l'iter vengono create nelle zone di frontiera cinque nuove sezioni delle Commissioni
territoriali per le domande d’asilo.
Spese integrazione ridotta a 19-26 euro
«Nell’ottica di una gestione delle risorse pubbliche efficiente e congruente con le azioni politiche da attuare - continua
l’intesa di governo - occorre procedere ad una revisione dell’attuale destinazione delle stesse in materia di asilo e immigrazione,
in particolare prevedendo l'utilizzo di parte delle risorse stanziate per l'accoglienza per destinarle al Fondo rimpatri».
Le nuove linee guida degli appalti per i servizi d'accoglienza, che ridefiniscono l’intero sistema e tagliano le spese, portandole
da una media di 35 euro a 19-26 euro a persona. In un’ottica di taglio dei costi, soltanto i titolari della protezione internazionale
avranno diritto ai servizi di “integrazione e inserimento” (dall’insegnamento dell'italiano, all’assistenza psicologica,
all’orientamento sul territorio) prima riservati anche ai richiedenti asilo.
Non solo. Il decreto sicurezza assegna al Fondo rimpatri le risorse destinate dalla legge di bilancio 2018 al programma di rimpatrio volontario assistito, che potranno essere utilizzate anche per altre forme di rimpatrio. Si tratta di 3,5 milioni di euro per il triennio 2018-2020 (500mila euro nel 2018, 1,5 milioni nel 2019 e altrettanti nel 2020).
Superamento del Regolamento di Dublino in stallo
«È necessario il superamento del Regolamento di Dublino - si legge nel contratto di governo -. Il rispetto del principio di
equa ripartizione delle responsabilità sancito dal Trattato sul funzionamento dell’UE deve essere garantito attraverso il
ricollocamento obbligatorio e automatico dei richiedenti asilo tra gli Stati membri dell’UE, in base a parametri oggettivi
e quantificabili e con il reindirizzo delle domande di asilo verso altri Paesi». Ma la riforma delle regole che disciplinano
il diritto d’asilo a livello europeo è in stallo. Lo scorso giugno l’Italia, su spinta soprattutto del neo ministro dell’Interno
Salvini, ha stoppato la proposta di modifica del regolamento di Dublino (in base la richiesta di asilo va inoltrata nel Paese
di primo ingresso nella Ue) messa giù, dopo un'intensa (e non facile) mediazione tra i partner europei, dalla presidenza bulgara
del Consiglio perché - spiegava in quei giorni Salvini - «condanna i Paesi del Mediterraneo, Italia Spagna, Cipro e Malta,
ad essere da soli». Nelle conclusioni del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno, che ha avuto il tema migranti all’ordine del
giorno, al punto 12 si legge che «è necessario un ulteriore esame della proposta sulle procedure di asilo». Insomma, una dichiarazione
di intenti, senza alcun accordo concreto. Al vertice dei ministri dell’Interno dell’Ue, che si è svolto a Bucarest a inizio
febbraio 2019 per discutere della politica migratoria europea, l’ennesimo nulla di fatto.
La verifica delle missioni europee nel Mediterraneo
Secondo il contratto, infine, si deve puntare «ad una verifica sulle attuali missioni europee nel Mediterraneo, penalizzanti
per il nostro Paese, in particolare per le clausole che prevedono l’approdo delle navi utilizzate per le operazioni nei nostri
porti nazionali senza alcuna responsabilità condivisa dagli altri stati europei». Il 21 dicembre il Consiglio d’Europa ha
esteso il mandato della Eunavfor Med Sophia, la prima operazione militare di sicurezza marittima europea che opera nel mediterraneo
centrale, fino al 31 marzo. Ma a fine gennaio il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha chiesto di cambiare le regole di
ingaggio della missione. Se ciò non accadrà - ha avvertito il responsabile del Viminale - la missione sarà a rischio rinnovo.
In base alle regole attualmente in vigore, infatti, tutti i migranti salvati dalle navi che operano sotto l’ombrello di questa operazione vanno sbarcati nei porti italiani. Una buona parte degli Stati - tra questi Francia, Ungheria, Belgio e Croazia - si sono trincerati dietro la necessità di trovare una soluzione nell'ambito della discussione più ampia sulla gestione dei migranti, che passa attraverso la riforma del regolamento di Dublino, le piattaforme regionali di sbarco e i centri controllati: tutti dossier in piena impasse. Altri Paesi - come Germania, Spagna e Portogallo - sono disposti a trovare una soluzione temporanea, valida cioè fino a quando tutti i pezzi del puzzle sulla partita europea delle migrazioni non saranno andati al loro posto. Ad oggi il pressing del governo giallo verde non ha avuto gli effetti sperati. La scadenza di fine mese è vicina.
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