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Tecnologie Social Network

Google e la sfida della privacy (dopo le gaffe)

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 18:53.

«Quando ho iniziato a usare internet studiavo informatica all'università. Io e i miei compagni cercavamo le informazioni. E' passato qualche anno e sono cambiate un sacco di cose. Molto in fretta. Ora le persone in rete scrivono, postano foto e informazioni personali». Alma Whitten ha lasciato i banchi della Carnegie mellon university per abbracciare gli algoritmi di Google nel 2003. Oggi guida il team di ingegneri del privacy council. Studia soluzioni pratiche per problemi che attraversano società e diritto.

«Da quando lavoro per questa azienda - ha spiegato la Whitten in un incontro a Milano - la cosa che più mi entusiasma è la sua missione. E cioè "organizzare l'informazione mondiale rendendola universalmente accessibile e utile". Il che pone un problema di privacy». La tutela dei dati personali sembrava un concetto vecchio per un mondo nuovo, quello del web condiviso e personale, ma le cose sono cambiate rapidamente (si veda Il Sole 24 Ore del 22 maggio). Le internet company tendevano a negare il problema, ora, quando inciampano, chiedono scusa e cercano di porre rimedio. Nel quartier generale californiano la privacy spreme le meningi di ingegneri, legali, esperti di user experience e una miriade di altri uffici.

Per capire il perchè basta guardare le cronache delle ultime settimane. Facebook ha introdotto di default alcune novità che comportano un minore controllo del proprio account nel confronto di siti terzi ed è stato costretto a un parziale passo indietro. Il servizio Google Street View è finito nel mirino dei garanti della privacy di mezza Europa per il traffico dati wireless catturato durante le rilevazioni delle automobili. Piccole gaffe o errori di valutazione su un terreno, quello della fiducia degli utenti, che può essere molto scivoloso.

A Mountain View se ne sono accorti nelle ore successive al lancio del social network Buzz, a febbraio. Gli utenti di Gmail si sono trovati spiazzati, vedendo mischiati i contatti con quelli della posta elettronica. «Avevamo fatto una serie di test prima del lancio, ma una volta vista la reazione abbiamo subito introdotto alcune modifiche. Abbiamo capito che gli utenti non vogliono sorprese - continua la Whitten - lavoriamo sul nuovo, quindi è difficile indovinare al primo tentativo. Il feedback è fondamentale».

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In generale «un motore di ricerca ha un bisogno vitale delle informazioni di navigazione delle persone». La Whitten ha mostrato le stringhe di numeri che Google conserva dopo le ricerche (indirizzo IP, tipo di browser, cookie e altro). Gli indirizzi IP restano nei server, in maniera anonima, per nove mesi. I cookies per 18 mesi. «Molti pensano che la ricerca funzioni solo grazie al pagerank, in realtà è solo la prima mossa di una partita di scacchi. Il posizionamento nel motore di ricerca è molto ambìto, dunque sono arrivati i "cattivi", che cercano di influenzare l'algoritmo. Noi rispondiamo con la seconda mossa. Il server registra la storia di navigazione. Se la ricerca "fiori" è soddisfatta dal quinto risultato, vuol dire che dobbiamo apportare dei miglioramenti». Tra le nuove iniziative dello staff del privacy council ci sono le preferenze per la pubblicità targettizzata, il Data liberation front per rimuovere i propri dati dai servizi di Mountain View e la Google dashboard per sapere cosa sa il motore di ricerca su di noi. Tentativi di prendere di petto un problema per il quale «nessuno ha ancora una ricetta pronta», conclude Alma Whitten.

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