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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2010 alle ore 15:36.
Mark Zuckberger, il co-fondatore e amministratore delegato di Facebook, è l'uomo dell'anno 2010 secondo il Time. Per il ragazzo che ha realizzato la più grande rete sociale al mondo, fatta dalla partecipazione di oltre mezzo miliardo di persone, non è stato, in effetti, un anno come gli altri. Zuckerberg, faccia d'angelo e sguardo di ghiaccio, non è mai stato amato dalla parte più attiva della rete. Internet non ne ha mai fatto un idolo, un simbolo della rivoluzione che ha portato il web dalla connessione di link a quella tra persone.
Un po' come un film di grande successo che non trova la benedizione della critica, la struttura chiusa di Facebook, la questione privacy e il carattere non sempre facile di Mark non hanno trovato i plausi colti del web, ma l'adesione di mezzo miliardo di persone. Zuckerberg ha fregato tutti realizzando dal nulla una enorme nazione fatta di identità digitali che si connettono per vedere le foto degli amici, condividere brevi pensieri, video divertenti, cercare ragazze o ragazzi. Idea, quest'ultima, nata con Facemash, il sito realizzato da Zuckerberg sui banchi dell'università che lo fece richiamare dal consiglio di facoltà di Harvard dandogli però la prima notorietà e l'embrione dell'idea che ha partorito Facebook.
La celebrazione cinematografica con "The social network", il film con la regia di David Fincher, è arrivata alla fine di un anno che dicevamo non essere stato come gli altri per Zuckerberg, diventato 26enne il 14 maggio scorso mentre nel mondo montava la polemica per le modifiche introdotte nella gestione della privacy degli utenti. Le critiche della rete e dei giornali sono montate, Facebook ha dovuto fare un passo indietro, restano molti dubbi sul trattamento dei dati personali.
Eppure Facebook continua e un'idea semplice - e geniale, come sono le idee più semplici quando le ha avute qualcun altro - porta Mark sulla copertina del Time «per aver collegato più di mezzo miliardo di persone e aver mappato le loro relazioni sociali (cosa mai fatta prima), per aver creato un nuovo sistema di scambio delle informazioni che da un lato è diventato indispensabile, dall'altro mette un po' di paura; e infine per aver cambiato il modo in cui viviamo le nostre vite secondo modalità innovative e anche ottimistiche», scrive la rivista.